Anni fa, all’inizio degli anni novanta, andammo a trovare mio cognato che all’epoca per lavoro si era trasferito a Londra, nella parte est della città.
Era un sabato pomeriggio ventoso, ed un tiepido sole cercava di riscaldare un aria fresca di inizio ottobre.
Decidemmo di fare una passeggiata sul lungo Tamigi, in un punto vicino a dove mio cognato aveva preso casa. Con mia grande sorpresa scoprii che in quel tratto di fiume si praticava diffusamente la vela con piccole imbarcazioni in legno.
Era un tratto di fiume abbastanza largo, e c’era anche una certa corrente, che stimai in almeno un paio di nodi. Vi era un piccolo circolo sul bordo del fiume con accesso diretto al fiume dalla spiaggia ed alcuni ragazzi, tutti rigorosamente in maniche di camicia e con gli stivaloni, stavano armando una barca in legno molto simile a queste che ci hai fatto vedere, Alfredo. Altre barche simili erano già uscite e mi divertii ad osservare come riuscissero a risalire la corrente e come incrociavano l’un l’altra con grande divertimento.Sul bordo del fiume c’era poi una passerella dove la gente faceva jogging e pure degli spazi attrezzati per fare gli esercizi.
Mi ricordo che pensai che se mai avessi vissuto a Londra (ero andato il giorno prima a fare un colloquio di lavoro, e mi avevano pure preso!) avrei anch’io praticato lo sport della vela in quel punto o in altri posti simili.
Sono sicuro che quei ragazzi inglesi (c’erano anche persone adulte e diverse persone di una certa età sulle barche) non fossero più appassionate di me o di voi: credo anzi che, al contrario di me, considerassero la vela alla stregua di altri sport, come il calcio o come correre sul lungo Tamigi (mentre per me è stata sempre una passione grandissima…).
Allora qual era la differenza tra loro e me? Perché io, forse più appassionato di loro, non meritavo di avere qualcosa di simile nel mio Paese?
La risposta era fin troppo semplice: queste persone avevano alle spalle una grande tradizione, una grande cultura marinara che aveva plasmato il loro stesso Paese nei secoli, la storia dell’Inghilterra, fatta di vittorie sul mare, di scoperte scientifiche, di territori da colonizzare cercati fin agli antipodi, permetteva a quelle persone di stare li’ a godersi quel po’ di vento e di sole in barca a vela.
Caro Alfredo qui purtroppo è la tradizione che ci manca, una vera cultura di massa della vela.
Come Italiani abbiamo regalato al mondo grandissimi navigatori (Colombo su tutti) e raggiunto vette altissime nella pratica sportiva (si pensi agli Straulino, ai Falck, ai Gardini, agli Agnelli etc..) ma sempre con una partecipazione di nicchia, fatta di ricchi personaggi, illuminati e visionari, e di eccellenze che hanno imposto il nome dell’Italia nel mondo della vela. Ma la cultura di marinara di massa?….Zero assoluto.
Come hai scritto nel tuo brillante articolo non ci mancherebbero di certo i posti dove praticare la vela con piccole imbarcazioni, semplicemente a nessuno, sia tra gli amministratori pubblici sia tra i privati, è venuto mai in mente proprio perché…non è nel nostro DNA.
Salutissimi a tutti
Luigi
07-03-2011 Luigi
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