Gioie e dolori di un Natale a Cariacou
Vigilia di Natale 1995 siamo a Cariacou, stato di Grenada. Siamo ormeggiati
nella baia di Tirrel Bay. Non è la prima volta e
non sarà la ultima; e' il nostro ormeggio preferito delle Grenadine.
A cinquanta metri da noi abbiamo L'Antares II di Carlo e Gloria, carissimi amici piemontesi. Abbiamo deciso di passare il Natale
qui, in questa isola, per certi versi primitiva e non
ancora colpita dal turismo e dal charter di massa. Non ci sono marina,
non si puo' fare acqua, per comprare nafta o benzina
bisogna prendere un bus che, tra sobbalzi e giri vari, in trenta minuti
ti porta alla capitale dall'altra parte dell'isola dove, ad una
pompa di benzina, vi riempiranno la vostra tanica. Un paio di negozi
sulla spiaggia vendono prodotti di prima necessità oltre a
birre e liquori che vengono più o meno legalmente portati da
pescatori Venezuelani quando, di passaggio per le isole più a nord,
vanno a vendere il prodotto delle loro giornate di pesca.
Una barca da carico di quelle che si costruiscono localmente e non più
lunga di diciotto metri collega giornalmente l'isola con
Grenada da cui arrivano la maggior parte degli approvvigionamenti.
Pur venendo da fuori, si fa presto ad abituarsi al ritmo di questa isola
che sembra battere il tempo del riposo e del dolce far
niente. Camminando per le strade della capitale si assapora tutto l'aroma
dei Caraibi, un misto di odori di mare, di spezie, pollo
alla brace, rum, pesce cotto . Al mercato troverete banane, frutti
dell'albero del pane, noci moscate, cacao in barrette estratto
da piante locali, una sorta di spinacio locale chiamato Calalou, miele,
arance, pompelmi. Tutta mercanzia ordinata ed esposta su
teloni stesi in terra e offerta da matrone negre dall'aspetto simpatico
e gioviale. Lungo le strade gli immancabili rasta che ti
offrono i loro prodotti compresi i "bidis" che altro non sono che sigarette
ricavate da foglie di eucalipto arrotolate. C'e anche un
aeroporto con voli più o meno regolari per Grenada con aerei
a elica di sei posti. Si tratta di una sola pista in erba dove
vengono fatte pascolare delle vacche per mantenerla tagliata e che
vengono debitamente allontanate prima di ogni decollo o
atterraggio (due o tre al giorno).
L'ormeggio è quanto di meglio si possa desiderare: una baia totalmente
riparata dall'aliseo, contornata da una lunga spiaggia di
sabbia chiara con palme e alberi del pane. Un fondo di sabbia più
che tenitore, verdi colline tutto intorno che lasciano passare
la sufficiente brezza che mantiene freschi a noi e lontane le zanzare.
Pellicani, fregate, sule e gabbiani che volano, nuotano e
riposano sulle rocce che costeggiano l'entrata della baia.
Questa e' Carriacou, l'isola dove, una volta buttata l'ancora, è
sempre più difficile tirarla su. Prova ne sia le varie barche che
così hanno fatto da anni e non si sono più mosse. C'e
quella coppia di tedeschi su una bellissima goletta blu che dipingono
magliette e le vendono alle barche di passaggio. Una famigliola scozzese,
arrivata dieci anni fa su una barca di legno che aveva
visto tempi migliori, e i cui figli oramai vanno a scuola con i bambini
locali. C'e' un francese soprannominato "Hulk" (per la sua
stazza) arrivato con la sua barca e una saldatrice. Ora vive ancora
sulla sua barca, ha una capanna sulla spiaggia e costruisce
dinghy di alluminio a chi ne fa richiesta ... ma senza fretta.
Come dicevo era il pomeriggio del 23 dicembre, seduti in pozzetto con
Carlo e Gloria stavamo bevendo un caffè e parlando
del più e del meno. Da lontano vediamo arrivare una barca a
vela, una bellissima barca che puntava diretta all'ormeggio.
Dovete sapere che all'entrata della baia, nella parte destra si trova
un bassofondo di corallo molto insidioso che protende dalla
costa per circa centocinquanta metri. Sulle carte e sulle guide questo
bassofondo è indicato ma forse non così marcatamente
fuoriuscente dalla costa. In tanti mesi che abbiamo passato a Cariacou
abbiamo visto parecchie barche incagliarsi su questo
corallo ma sempre piano e in maniera non grave, fuoriuscendone sempre
senza danni. Abbiamo subito notato, che anche questa
nuova barca che arrivava, si stava pericolosamente avvicinando al bassofondo.
Come avevo fatto altre volte saltiamo sul
gommone e con Carlo andiamo incontro all'ignaro per avvisarlo del pericolo.
Purtroppo lui andava troppo veloce e, prima di
raggiungerlo, aveva gia' toccato con la chiglia il fondo. La barca,
un one off di 50 piedi in vetroresina di Sparkman e Stephen
(pescaggio 2,4 metri), bellissima, era di un Francese/Americano con
moglie e figlio simpaticissimi. Subito vediamo di aiutarli e
non, appena visto che non riusciva a uscirne a motore, ci passa una
drizza e proviamo a sbandare la barca tirandola per
l'albero. Dopo un paio di tentativi ci accorgiamo che questa volta
l'impresa era più difficile del solito. L'aliseo soffiava da nord
est e una onda marcata entrava da quella parte della baia ancora abbastanza
fuori e aperta. Ogni onda che passava sotto la
barca (che oramai era già inclinata di qualche grado) faceva
si che muovendo la chiglia facesse avanzare di pochi centimetri la
stessa sempre più verso la parte più bassa. A questo
punto era già arrivato un altro francese con il dinghy e una barca
locale. Si
decide subito di tentare di fermare questo avanzamento pericoloso e
il tipo ci passa una enorme ancora con catena e tanta cima
che immediatamente e con tanta fatica andiamo a posizionare in direzione
di arrivo delle onde a circa cento metri.
Purtroppo solo ora iniziamo a renderci tutti conto della gravità
della situazione. La barca aveva già uno sbandamento di circa
venti gradi e, ancor più grave, era piegata dal lato verso terra.
L'ancora che avevamo portato sembrava non sortire nessun
effetto e la povera continuava il lento procedere ad ogni onda. In
tutta la baia non c'era una sola barca con un motore
sufficiente per poterla tirare fuori. Ultimo, e non meno grave, il
sole stava tramontando ed era un periodo senza luna.
Continuiamo fino a notte inoltrata i tentavivi ma senza risultati e
alle nove di sera la barca era oramai sdraiata su di un fianco su
un tappeto di coralli coperto solo da un metro di acqua. L'acqua lambiva
la tuga dal lato immerso. L'onda, ingrossata forse dal
rinforzarsi dell'aliseo, si gonfiava sul bassofondo e andava a frangersi
addosso la fiancata della povera barca che ad ogni
passaggio rollava e sfregava il fianco offeso sui coralli in maniera
paurosa.
La baia di Cariacou è base di un tedesco che possiede e gestisce
due rimorchiatori, uno più grande e uno più piccolo, con
il
quale fa piccolo cabotaggio e lavoretti per le Grenadine ma, purtroppo,
quel giorno era fuori per lavoro con uno dei mezzi.
Ovviamente il Tam Tam era già scattato da ore e il tipo, ricevuto
la richiesta di aiuto e capendo la gravità del problema, cerco'
di rientrare rapidamente ma non riusci' ad arrivare prima di notte.
Esaminò la situazione e disse che era pericoloso tentare qualcosa
prima di giorno. Il suo timore era di aprire una falla alla barca
che sarebbe stato difficile arginare senza la luce del sole. Inoltre,
problema non indifferente, era che si doveva avvicinare e
lavorare a pochi metri dai coralli che sarebbero stati invisibili,
insidiosi e pericolosi anche per il mezzo di soccorso. Aggiungiamo
anche che l'indomani alle sette di mattina avremmo anche avuto la marea
alta mentre oramai era già calante.
Il proprietario, con il morale a terra e allo stremo delle forze si
organizzò per passare la nottata a bordo. La moglie e il figlio,
che già da ore erano stati sbarcati, andarono a dormire (ammesso
che potessero dormire) a bordo di una barca francese
all'ancora e l'armatore non fece altro che sedersi sulla tuga e iniziare
a contare le ore e i minuti. D'altronde non si può lasciare
sola una barca ai Caraibi per il rischio degli sciacalli.
Verso l'una di notte ci avvicinammo ancora una volta con il gommone,
nonostante il rischio di rovesciarci per le onde e rompere
gommone o motore sui coralli. Riuscimmo a passare allo sventurato un
termos di caffelatte bollente e un pacco di biscotti. Alla
domanda se c'era qualche cosa d'altro che potevamo fare per lui la
sua risposta rimase come una spina nel nostro cuore; ci
disse "pregate perché domani la mia barca possa navigare ancora".
La mattina seguente non era ancora sorto il sole che già eravamo
tutti in piedi. Il tedesco già era sul suo rimorchiatore che
armeggiava e preparava cimoni, verricelli e impartiva istruzioni ai
due aiutanti. Aveva optato per il mezzo piccolo perchè,
diceva, che con il grande non poteva dosare bene la forza e rischiava
di arrecare seri danni.
I primi bagliori rischiarano la baia e purtroppo, come aspettato, la
situazione si presenta tutt'altro che rose e fiori. La barca è
sdraiata su di un fianco in mezzo metro d'acqua, ad ogni onda sobbalza
e gratta sul corallo, l'acqua e entrata ovunque all'interno
arrecando già molti danni oltre a quelli esterni dovuti allo
sfregamento e ai colpi. Lo skipper, sceso dalla barca, gli gira intorno
a
piedi con l'acqua alle ginocchia. Forse cercando di capire i danni
o forse cercando di stare più vicino al suo amato bene. Se
non altro la robusta costruzione ha fatto si che non si fossero aperte
falle.
Immediatamente il tedesco si pone all'opera e un paio di suoi aiutanti
subito effettuano una sorta di imbracatura intorno alla
barca. Non si può pensare di tirarla per le bitte ne tantomeno
per la base dell'albero che non resisterebbero allo sforzo.
Terminato ciò un robusto canapone viene portato dal rimorchiatore,
che nel frattempo, si era portato al limite del bassofondo di
coralli. Attaccata che fu la barca vengono effettuati un paio di tentativi
vani di tirare la barca facendola pattinare su di un fianco.
Poche erano le speranze in questo senso e ancor meno i risultati e quindi
viene deciso di far girare su stessa la barca nel verso
prua poppa fino a poterla strappare dalla morsa del suo peso. Purtroppo,
per la barca, non è la via più salutare ma è forse
l'unica. Dopo un paio di mezzi giri un momento di panico. Un urlo dello
skipper avvisa che si aperta una falla; si precipita dentro
e dopo dieci minuti ne torna fuori, fradicio come non mai e spiega
che semplicemente si era staccato il trim della chiglia e dalla
losca entrava tanta acqua da sembrare una falla. Tamponato il foro
si prosegue con il lavoro. Momenti di sofferenza, momenti
di rabbia, tanta tristezza per la povera barca che centimetro a centimetro
sta forse ritornando alla vita. Fino alla fine non si può
essere certi della riuscita dell'impresa e basta una roccia mal messa
o manovra sbagliata per creare danni forse irreparabili a
questa creatura del mare.
Ore undici del 24 dicembre, una giornata di sole con aliseo fresco e
tutti i suoi batuffoli di nuvolette che sorvolano sopra di noi.
Una gioia mista a rabbia e pena permea l'aria della baia... ma lei
galleggia di nuovo, c'e l'ha fatta, ne è uscita ferita e ha sofferto
ma ora le cure e l'amore di una famigliola di naviganti che hanno pianto
e sofferto con lei la riporteranno allo splendore del
giorno prima. Il trim e mezza pala del timone giacciono in mezzo ai
coralli, tutta l'elettronica è andata, il pulpito da rifare, le
draglie penzolano rotte, una fiancata mostra oramai per buona parte
la fibra scoperta. La chiglia in piombo sembra sia stata
masticata da un gigante...ma galleggia ancora e festeggiera' il suo
Natale e il suo ritorno alla vita.
Stesi al sole si stano asciugando lenzuoli, vestiti, carte, portolani,
barattoli di alimentari.
Dopodomani partirà per Martinica, ottanta miglia dal corallo
che così la ha ridotta. Sarà scortata da un paio di barche
amiche
per sicurezza e un travel lift la attende per tirarla in secco e iniziare
le cure. Saranno forse lunghe, forse dolorose e sicuramente
care ma la riporteranno allo splendore e alla gioia di solcare di nuovo
le onde che è la ragione per cui è nata. Un Natale che
non si dimentichera' ma a questo mondo, ogni discesa corrisponde sempre
una salita ... dipende da che lato si guarda.
Carte Portolani e Co.
Da sempre i migliori alleati dei marinai sono sempre state carte e portolani.
Bisogna dire che l'avvento del GPS ha modificato di
molto l'approccio alla navigazione ed aperto le porte a tante barche
che altrimenti, forse, non si sarebbero avventurate oltre le
colonne d'Ercole. I più raffinati dicono che non c'e' più
poesia nella navigazione e l'immagine dello skipper con il sestante in
mano non dovrebbero mai sparire. Forse hanno ragione e forse no. Il
mondo cambia e gira, e noi non lo possiamo fermare. La
storia moderna ci ha portato droga, inquinamento, guerre e armi nucleari
e non ci possiamo fare niente ma almeno sfruttiamo e
godiamo di quello scatolino che con un semplice bottone ci dice ad
ogni momento la nostra posizione con un'approssimazione
di pochi metri.
Quando partimmo comprammo un GPS, dei primi che uscirono, per due milioni
di lire ed un sestante per un altro milione.
Oggigiorno con tre milioni si possono comperare (almeno in America)
fino a dieci GPS. A quanti dicono che l'elettronica si
rompe e soffre l'umidità vorrei chiedere quanto sfortunati devono
essere a rompere dieci GPS, che tra l'altro funzionano anche
con comuni batterie stilo che sono l'unica cosa che si trova in tutto
il mondo insieme alla Coca Cola. Non ditemi che un sestante
non si può rompere con uno scivolone in coperta, una rollata
inaspettata o perchè non siamo stati rapidi a riporlo dopo l'uso.
Certo è vero che è inutile sapere dove siamo se non sappiamo
cosa abbiamo intorno e per questo le carte sono più dure a
morire. Ritengo le carte e i portolani (ufficiali o meno) un immancabile
complemento alla buona riuscita della navigazione. Anche
in questo campo l'elettronica ha fatto passi da gigante e oramai le
case ci propongono decine di sistemi e plotter. Cartucce di
varie marche, CD ROM, cassette e ammennicoli vari che contengono milioni
di dati. Basta infilarli nella giusta fessura del
computer, del radar o del plotter ed ecco che vi appare la vostra bella
carta, tutta colorata con tanto di settori verdi e rossi dei
fari. Come se non bastasse ecco materializzarsi la vostra barchetta
sotto forma di croce, di puntino o di icona self inventata che
si sposta evitando ostacoli ed entrando porti teleguidata con un semplice
cavo del GPS e del pilota automatico. Come tutte le
cose bisogna sempre porre un limite e, personalmente, abbiamo messo
il nostro punto dopo l'acquisto del secondo GPS. Non
sono contrario ai sistemi cartografici ma per quanto mi riguarda sono
ancora abbastanza lontani dal mio tavolo da carteggio.
Questo non è un puntiglio come lo è per tanti che ancora
girano con il loro sestante da museo (in quanto tale) dicendo che è
l'unica cosa affidabile e poi non hanno mai neanche fatto una traversata
diretta in Sardegna.
La mia scelta dipende dal fatto che ancora questi sistemi sono abbastanza
cari oltre al costo del materiale tradizionale quali
carte e portolani che ovviamente non dovranno mai mancare.
Altro problema che questi sistemi presentano è l'alto consumo
di corrente per mantenerli accesi durante la navigazione. Non
sarebbe un problema per le navigazioni giornaliere dove, il motore
viene acceso per salpare, ricaricando le batterie e altrettanto
avviene prima di sera se non poche ore dopo recuperando quindi tutti
la corrente consumata dal nostro moderno "televisore".
Immaginiamo ora una traversata di qualche giorno o anche settimana.
Poco che sia uno strumento di questi consuma ben due
Ah per un totale quindi circa 50 Ah al giorno. Ciò significa
due ore di motore al giorno dedicate solo ed esclusivamente al
nostro televisore. Anche con un sistema di carica più efficiente
del mio è sempre almeno un'ora al giorno solo per lui. Ecco, in
poche parole, un altro motivo per cui ancora non siamo passati a questi
moderni giocattoli.
Facciamo ora un altro esempio. Questo è il caso di un armatore
con tutt'altro budget. Durante la traversata avranno un
desalinizzatore per fare la doccia tutti e tutti i giorni, mangeranno
carne che viene dal congelatore, stereo acceso tutto il giorno
con altoparlanti dentro e fuori e magari alla sera si gusterà
la cassetta dell'ultimo film uscito sul grande schermo e riprodotta con
videoregistratore sul suo TV a 12 volt. Certo è, che tutto ciò
abbisognerà di un generatore che in barba al costo del carburante
andrà per molte ore al giorno. In questo, caso cosa sono 50
Ah per uno strumento che gli evita di litigare con matita e
squadrette?. Ben venga! Sempreché abbia anche le carte in caso
di problemi o tutto doppio compreso il generatore. In pratica
quello che voglio dire è che un paio di GPS o magari tre per
i più ansiosi quasi tutti ce li possiamo permettere, oltre è
un altro
discorso.
Le carte necessarie e i portolani sono state una spesa non indifferente
che abbiamo affrontato alla partenza. Un paio di amici
(Pasquale de Gregorio e Pierfrancesco Cafaro che ringraziamo ancora)
ci prestarono rotoli e rotoli di carte di tutto il loro giro
del mondo già effettuato che debitamente fotocopiammo fino all'ultimo.
Come sempre la paura dell'ignoto ci fece credere che
forse sarebbe stata quella la unica occasione per avere le carte necessarie.
Da allora, a parte la spesa, ci portiamo dietro
seicento fotocopie di carte da cinque anni di cui, fino ad ora, abbiamo
utilizzato solo una piccola parte.
Con il tempo abbiamo visto che le carte sono le cosa più facile
da trovare a bordo delle barche e tutti noi naviganti siamo
sempre disponibili a prestarle all'amico e vicino di barca perché
ne faccia fotocopie. Come se non bastasse, aime', abbiamo
scoperto che il luogo più caro per fare le fotocopie è
proprio l'Italia. Molta gente si disfa delle carte che non servono più
e le
vende a prezzi, spesso inferiori della fotocopia stessa, o le scambia
con le barche che vanno in direzione opposta o, magari, ve
le regala anche. Consiglio a tutti, quindi di non esagerare in approvvigionamenti.
Compratele e fotocopiatele strada facendo.
Una famosa ditta Americana vende e spedisce originali e fotocopie di
carte di tutto il mondo ovunque vi troviate e a prezzi di
gran lunga inferiori a quanto vi costerebbero in Italia trasporto compreso.
Basta avere un carta di credito e un fax a portata di
mano. In America, ovviamente, non esiste il Copyright sulle carte ritenedole,
giustamente, un servizio e non una speculazione.
Anche per quanto riguarda portolani ufficiali o guide nautiche ne troverete
ovunque premesso che esistano per la data località. I
naviganti sono più disposti a disfarsene che delle carte, forse
perché apparente il libro fa peso. Quindi si trovano usate, si
fotocopiano totalmente o la parte che interessa e si scambiano.
Adesso però fatemi dire due paroline sulla affidabilità
delle carte e delle guide. Fate attenzione, la maggior parte delle carte
sono vecchie e basate su rilevamenti dell'ottocento con utilizzo del
sestante.
A parte i cambiamenti dovuti a uragani, terremoti, maremoti, erosione
quant'altro vi venga in mente tenete conto che l'avvento
del GPS ci ha cambiato il sistema di navigare infondendoci una falsa
sicurezza. Quando un tempo riportavamo la nostra
posizione sulla carta tenendo a mente e calcolando al meglio velocità,
scarroccio, corrente, deriva ecc. facevamo molta
attenzione se decidevamo di passare nelle vicinanze di una secca, uno
scoglio o ci apprestavamo ad un atterraggio. Da buoni
marinai è sempre stata buona usanza lasciare il giusto spazio
all'errore umano e strumentale.
Oggigiorno il nostro GPS ci dice il punto esatto e se la crocetta che
riportiamo sulla carta cade mezzo lontano dell'ostacolo ci
sentiamo sicuri e dormiamo sonni tranquilli. Attenzione però
che quell'ostacolo non è detto che sia esattamente dove è
indicato
sulla carta perché il sistema di tracciamento può essere
differente da quello del GPS, perché qualche cambiamento non e'
stato
riportato sulla carta o anche solo perché l'ufficiale inglese
che nell'ottocento fece il rilevamento non era troppo sobrio o andava
di fretta. Guardate che fuori del Mediterraneo è più
comune di quanto immaginiate. Un esempio lampante è l'arcipelago
di Los
Roques in Venezuela tanto per citare uno dei posti più famosi.
Tutti i frequentatori del luogo, e sono tanti, sanno benissimo che
tutte le carte disponibili, presentano un errore di mezzo miglio in
latitudine e ne tengono conto. La passe principale per entrare
in questo posto è larga solo un quarto di miglio, ci si entra
con il vento in poppa e i coralli alla sua destra si vedono solo da
duecento metri di distanza... traetene voi le conclusioni cosa può
succedere se vi fidate ciecamente del vostro GPS in base a un
waypoint rilevato dalla carta. Qualcuno lo ha fatto lasciando monumenti
alla stupidaggine umana sulle scogliere di Los Roques. Non sto a enumerare
gli errori trovati su carte delle zone del Centro America
dove siamo ora! Verrebbe la voglia di girare in camper!
Non pensate poi che il plotter, in quanto moderno, sia esente da
errori. I programmatori non hanno fatto altro che copiare le
carte con tutti i loro errori e riportare il tutto su supporti magnetici.
D'altronde amici, un po' di brivido non fa mai male, no?
Buon vento a tutti
Flavio e Pilar
|