Capo Corso
Ho sempre saputo che la Corsica, anche d’estate, può essere pericolosa ed infida e l’esperienza vissuta con i miei amici (gli stessi di Capo Horn), ma soprattutto i racconti ascoltati in tale occasione me lo hanno confermato.
Dunque, ormai promossi da marinai della domenica a esperti velisti dall’iscrizione nel libro degli Horniers, decidiamo di partecipare anche quest’anno alla Giraglia, con una bella barca presa a nolo, un first 36.7 e un equipaggio composto da sei amici. Ma ci sono le elezioni e quindi si pone il problema di arrivare in tempo sulla linea di partenza e di compiere contemporaneamente il proprio dovere civico. Quelli sicuramente disponibili risultano Claudio, Gabriele, Giorgio e Roberto e così la sera del sabato, dopo il voto, ci imbarchiamo frettolosamente a Punta Ala e leviamo gli ormeggi alla volta di St. Tropez. Il bollettino non è dei migliori: è atteso un peggioramento per il giorno seguente fino a forza sei-sette, ma da Nord-Est, quindi si va.
La notte passa tranquilla, e così le prime ore della mattina. I primi colpi di vento arrivano in tarda mattina, al traverso di Capo Corso. Come previsto da Nord-Est. Io sono in cuccetta a riposare ma mi vesto con calma e raggiungo gli altri fuori. Il mare comincia a crescere e le raffiche raggiungono i trenta nodi, ma la barca a stento fa sei nodi, non siamo ben invelati.
Prendendo il timone propongo di aprire più il fiocco: a quella velocità arriveremmo nelle prime ore del giorno successivo, con poco tempo per recuperare prima delle regate e in più Claudio non è perfettamente in forma (prima di partire ha avuto una violenta colica renale che lo ha lasciato stremato).
Appena aperto il fiocco, prendiamo una bella raffica e la barca parte in straorzata. Si inclina vistosamente e i miei piedi, che non hanno un buon appoggio, scivolano facendomi cadere violentemente dal sedile. La botta è forte e un dolore lancinante mi attanaglia lasciandomi per alcuni secondi intontito. Quando mi riprendo la barra è saldamente nelle mani di Giorgio, mentre gli altri due hanno già riequilibrato la velatura e filiamo a oltre otto nodi. Il pozzetto è rosso di sangue. La mia gamba sinistra era stata squarciata al di sopra della caviglia dalla parte inferiore della barra, realizzata in alluminio, che è affilata come una lama. Quando raccolgo il coraggio per sollevare i pantaloni della cerata e gli altri sottostanti, ambedue strappati, ci rendiamo conto delle dimensioni e profondità della ferita. Sono necessari dei punti (alla fine ne metteranno quattordici) ma con quelle condizioni di mare e vento e in una barca così ardente non è pensabile farlo.
Decidiamo per il porto più vicino sotto vento che è Saint Florent, consci che la Giraglia per quest’anno è saltata.
La discesa lungo il “dito” è una delle cose più emozionanti che ho vissuto in barca. Il vento ulula giù dalle montagne a quaranta nodi e più, il mare è bianco di spuma ma per fortuna non si alza molto grazie al fetch ridotto. La barca, senza randa e con pochissimo fiocco vola sulle onde. Per ben tre volte, al largo di altrettanti canaloni fra le montagne corse, l’anemometro raggiunge cinquanta e passa. Il sangue continua ad uscire, sebbene meno copioso, mentre il dolore è sparito, soffocato dalle violente emozioni. Giorgio ed io, senza parlare, ci comunichiamo la grande preoccupazione, come entrare in porto con quaranta nodi e più contrari. Fortunatamente resta solo una preoccupazione, Saint Florent è ben ridossata e l’ingresso nel porto è facile, tant’è che prendo la barra mentre gli altri preparano per l’ormeggio.
Appena al sicuro in banchina Claudio e Roberto vanno alla ricerca di un ambulatorio e di un taxi, ma dopo poco tornano senza né l’uno né l’altro: in paese non esiste pronto soccorso e il taxi dovrebbe venire da Aiaccio. Arriverà l’ambulanza del corpo dei pompieri, impegnati a spegnere un incendio vicino, che, chiamata dalla Capitaneria, mi trasporterà dal medico più vicino, a meno di dieci chilometri.
Il medico parla un ottimo italiano e mentre mi ricuce mi parla delle sua battaglia con le autorità locali per ottenere un ambulatorio di pronto soccorso nelle vicinanze del porto. Inevitabilmente finiamo a parlare di barche e scopriamo che è un volontario del soccorso corso in mare.
Così ci parla di Capo Corso, a suo dire uno punti più pericolosi del Mediterraneo, luogo di burrasche e di naufragi. Lo scorso inverno ricevettero una richiesta di aiuto, durante una violenta bufera, da una barca australiana: il giovane skipper aveva perso il compagno in mare e per più di ventiquattro ore incrociò al largo del Capo cercando disperato il compagno.
Nelle stesse acque, in condizioni simili il mare aveva preso i suoi quattro migliori amici, lasciando sul piccolo sloop sola l’unica ragazza ragazza, che riuscì a raggiungere il porto miracolosamente.
Così, partecipando alle ricerche dei suoi amici, decise di diventare volontario del soccorso in mare.
La sera davanti a una meravigliosa aragosta, nel miglior ristorante di Saint Florent, riviviamo la giornata e commentiamo i racconti, sentendoci molto vicini avendo vissuto un’altra esperienza di mare dalle sensazioni molto forti, che ci fanno sentire un po’ speciali, almeno per qualche ora.
Chi l’avrebbe detto che Capo Corso poteva essere come Capo Horn?
Gabriele Trama
3 dicembre 2004
e-mail: Gabriele.trama@bricabrac.it
Gabriele Trama
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