Yachting o nautica?
A
forza di sentir parlare di nautica in crisi, di porti affollati e di prezzi
esosi, di un bel po' di esibizionismo condito in
salsa televisiva, con molta moda o "lifestyle", mi e' venuta voglia di far un
po’ di chiarezza. Intanto è' vero che la nautica di presenza, usa e getta non ha
senso, ma forse a noi non
interessa
la nautica ,
interessa lo
yachting.
Si tratta di intendersi sul
significato delle parole e di uscire, una volta per tutte da un vocabolario
esclusivamente commerciale, tutto vendere e comprare.
Se
si ragiona solo in termini di affari, è facile parlare del primo yacht come
regalo fatto ad un sovrano, oppure di yachting come un modo per ricchissimi
gentiluomini, ma sarebbe meglio parlare di uomini d’affari, per sfidarsi in gare
commerciali e unire l’utile (gli affari) al dilettevole, (stare in cabina
sorseggianto il tè mentre i marinai professionisti si dannano sulle manovre
della loro
“nave”
da regata.
E’
indicativo un aforisma inglese in cui si racconta di un capitano al timone di un
grande yacht, che sente la bellezza del momento, del mare del vento e della
barca, fino a convincersi a far partecipare l’armatore a questa sua profonda
gioia, per
cui gli chiede: “-Vuole prendere il tlmone, Sir?- e il nobile e ricco armatore,
forse distratto, gli risponde: “- No grazie, non prendo mai niente
prima delle dieci!”-. Ripeto:
questo
non è
yachting, è nautica,
nel
caso specifico, di lusso. È
nautica,
quello
presentata dalle
riviste televisive stile “Yacht & Sail”. Per loro
lo
“yacht” è un motoscafo cabinato di grandi dimensioni e “sail” è quasi sempre una
barca da regata a velica travestita da crociera. Il tutto legate dalla &,
appunto, commerciale. Il mare e la vela qui hanno
un’importanza
marginale, è una seccatura, qualcosa che non si può comandare a piacimento, del
tipo” -Prego, mi faccia un mare forza
x con un vento da x gradi di direzione, che mi garantisce la riuscita della
manifestazione e il pieno successo delle iniziative laterali (gare di
cucina, vendita di prodotti locali, sfilate di moda con interessi vari ecc.) A
guardare bene la nautica si manifesta, con abituditini molto diverse dallo
yachting; si vive cahi fampeggiando nei marina, si esce la mattina tardi per
andare a fare il bagno a tre
o quattro miglia di distanza, si rientra
velocemente, tutti
insieme, doccia, cambio di vestiti, cena al
ristorante del marina e notte nei locali, il tutto senza uscire dallo spazio
portuale. È lo stesso comportamento e lo stesso spirito di chi fa la vacanza nel
villaggio turistico in qualche paese esotico, senza mai uscire dal recinto del
villaggio, in parte per paura delle eventuali aggressioni, ma sostanzialmente
per disinteresse nei confronti della vita e della cultura del
paese che ci sta ospitando.
Nella nautica, così come viene percepita e praticata, si ripetono gli schemi del
modo di lavorare occidentale; presenzialismo, ostentazione di successo, consumo,
competititività tranquillamente oltre i limiti della correttezza applicate alle
regate o altre gare, visibile mentalità automobilistica specialmente
al momento del rientro in porto.
Lo yachting è altra cosa.
Intanto l’appassionato di yachting tende a preferire la rada al marina,
raramente ha interesse per i diversivi offerti dai porti turistici
prefabbricati, ricerca invece la bellezza dei luoghi e le loro caratteristiche
specifiche, facendo un turismo più colto.
Lo
spirito
autentico dello yachting
nasce fra le due guerre e raggiunge il suo apice
intorno agli anni settanta. Lo yachting e' amore del
mare e del
vento, del viaggio e della solitudine fino al prossimo
scalo, che sia per poche ore o molti giorni non fa' differenza. E' una
esperienza intima, lo sviluppo di una passione simile, ma sostanzialmente
diversa da persona a persona, perche' un tramonto, un'alba sul mare, uno
sguardo, la visione di una costa rocciosa, una tempesta, un colpo di vento
regalano sensazioni diverse a persone simili, unite da una cosa comune: il
viverle a bordo di una barca. E questa barca non e' un galleggiante qualsiasi,
ma e' lo yacht. Ed
è
sinonimo di libertà, di partire quando si vuole, andare dove
ti porta il tempo ed il mare, privo della schiavitù
dell’orologio, degli impegni e soprattutto delle vacanze organizzate a
pacchetto.
Non importa se è grande o e
piccolo, se è di legno o di metallo, se è fatto da un cantiere o è
autocostruito, se è un modello unico o se esce da uno stampo, lo yacht è tale
perché è amato dal suo proprietario, che lo cura, lo modifica, a volte lo
trasforma per adattarlo ai suoi desideri e alle sue piccole o grandi
navigazioni. E per il suo armatore, il proprio yacht è il più bello del mondo,
quello più amato, tanto da far ingelosire la propria compagna, qualche volta
persino a ragione. E quando lo vende, magari per ordinare al progettista di
fiducia qualcosa di ancora più bello, si preoccupa che il nuovo armatore ami
davvero quell’oggetto, ed è disposto a cedere se nsibilmente sul prezzo, pur di
ottenere questo risultato.
Uno yacht è stato sicuramente il
Joshua di Moitessier, ma lo era altrettanto il Trekka di Jhon Guzzwell, ma anche
Il Golden Lion di Alex Carrozzo, per parlare di marinai conosciuti e passati
alla storia, ma anche il Wanda di Henry Wakelam, amico di Moitessier, che non ha
mai scritto un riga su di sé e la sua bravura di costruttore, di marinaio e di
principe nell’arrangiarsi con i materiali di fortuna.
il
Terra-nova, cutter in ferro di sette metri e mezzo, autocostruito da Alfredo
Nannetti che ha viaggiato sino alle isole Azzorre è uno yacht; e lo è anche
Zaurac,L’alpa 7,40 di serie, di Germano Gambino, che non era un marinaio di
formazione, ma è partito dalla sua Sicilia diretto verso l’atlantico
fino
all’isola di Tortuga.
E
sono yacht i pivieri, i bisso two,
I nytec,
e
tutte le barche in plastica, nuove o vecchie, che hanno la fortuna di essere
amate e quindi curate dal loro proprietario.
Infine non importa quanto sono costate. Nessuno non potrà mai dire che le tre
passere lussignane costruite in lamellare su disegno di Sciarelli dal Cantiere
alto adriatico di Monfalcone non siano yacht bellissimi, e in fondo costano
quanto una barca di serie lunga un metro e mezzo di più. E lo stesso discorso
può essere fatto per il cat boat “Difference” del cantiere Colombo, che ha lo
scafo in vetroresina. Ma se queste barche vengono abbandonate 350 giorni
all’anno, cessano di essere yacht e diventano solo oggetti inanimati e
tristi.
Anche sulle dimensioni dello yacht ci sono tante falsità. Non è affatto vero che
più è vecchio il proprietario più deve essere grande la barca, casomai è vero il
contrario, perché quando occorrono tanti servomeccanisismi per
navigare,
aumenterà
anche lo possibilità di guasti fino a ridurre al minimo il tempo fuori del
porto. Le dimensioni dello yacht dipendono esclusivamente dal programma di
navigazione che interessano all’armatore. Un sei metri è piccolo per fare il
giro del mondo, ma un quindici metri è inservibile
per entrare in piccoli porti o in rade dal basso
fondale.
E sicuramente una barca di
cinque, sei, sette metri , può essere caricata su un carrello e portata dal mare
al lago e viceversa. Allo fine il suo proprietario riuscirà a fare più
navigazione, o più yachting se preferite, rispetto a un altro che ha un
diecimetri.
A pensarci bene non c’è nemmeno
una grande differenza fra altura e crociera costiera. Cambia solo il tempo che
trascorre fra uno scalo e l’altro e una maggior preparazione richiesta dal fatto
di non potersi rifugiare preventivamente in un porto e di dover affrontare la
tempesta quando arriva. In fondo tra la barca più piccola per l’altura e la
carrellabile più grande e minima. Sono entranbi yacht, amati, curati, preparati
con passione ed esperienza. In caso contrario sono solo barche da usare per fare
nautica, quando non c’è di meglio da fare.
Infine le note dolenti: in
Italia è quasi impossibile fare Yachting.
Ho
letto articoli di quasi trenta anni fa, che chiedevano di scongelare la
navigazione da diporto, di renderla più fruibile alle persone comuni, evitando
tutti quei sistemi per gonfiare i costi all’appassonato. Invece, come tutti
sanno, la cosa è andata all’opposto, la vacanza organizzata con annesso
pacchetto nautico è stata imposta con la forza, per cui il possesso dello yacht
è diventato proibitivo.
Si
vendono o si affondano le barche piccole, cacciate dai porti diventati marina di
lusso e si viene spinti verso un costoso, quanto affollato noleggio.
Resta la possibilità di tenere la barca su un carrello e accettare di fare dei
lunghi viaggi per andare all’estero oppure aspettare il fuori stagione. Una
barca non carrellabile và tenuta in Corsica o in Croazia. A quel punto, però, si
può anche decidere di battere la bandiera di altre nazioni, meno prepotenti
con i loro cittadini.
Queste cose mi fanno tristezza,
soprattutto perché non vedo una possibile inversione di tendenza, come non la
vedo per altre situazioni, dall’inquinamento all’amministrazione della
giustizia.
Eppure non ci sono mancati le
idee e gli esempi e di persone capaci e brave umanamente.
Nello yachting, la piccola
crociera costiera e la grande altura si incontrano, sono entrambe alla ricerca
di una umanità perduta, di spazi piccoli e del respiro dell’oceano, di gente
vicina e lontana, di solitudine del viaggio e di compagnia trovata o ritrovata
al prossimo scalo.
Ho una vecchia fotografia presa
dalla “Zattera” di Fogar che raffigura l’autore e Mauro Mancini che si danno la
mano prima di partire per l’ultimo viaggio del Surprise, che costerà la vita
all’ideatore dei Navigare lungocosta.
Mi
sempre fatto l’effetto di un incontro simbolico tra la passione per le piccole
navigazione e la grande altura, che
sono
due momenti diversi
ma forse identici della stessa passione.
Dovunque siate, buon viaggio
Mauro, buon viaggio Ambrogio.
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