FENOMENO PIVIERE
Il Piviere è nato da una "battaglia" sostenuta da un giornalista, appassionato di nautica Mauro Mancini, contro i costruttori di barche di circa 20 anni fa. Mancini (scomparso nel 1978 mentre tentava con Ambrogio Fogar la circumnavigazione dell'Antartide), sosteneva che le barche piccole non dovevano avere la cabina ad altezza d'uomo. La "colpa" dei cantieri era di non imporsi al cliente che, anche in piccoli natanti pretendevano delle ridicole e "antimarine" tughe.
(Immagine tratta dall'articolo di Bolina) |
«Vuoi il tugone? - diceva Mancini denigrando questi cantieri - Ed eccoti il tugone! Vuoi il gabinetto separato in uno spazio che poi non ti potrà contenere? Eccoti il gabinetto separato! I cantieri italiani - continuava Mancini - hanno fatto a gara ad offrire scafi sempre più "economici" con caratteristiche di falsa ricchezza».
Allora, l'italiano (e purtroppo anche oggi), pensando al mare aveva in testa la casa, credendo che le comodità trasferite in mare fossero ancora comodità. Non considerando quindi che una barca sbandata non è comoda neppure con la migliore delle poltrone Frau. Ed ecco che Mancini andando contro la moda "studia" la sua barca: economica, con grande pozzetto (adatta al nostro Mar Mediterraneo), senza motore entrobordo e con la deriva mobile che gli consenta di arrivare fino alla spiaggia.
«Non giochiamo a fare i padroni di yachts, - diceva Mancini - cerchiamo di essere seri e reali: se molti di noi non hanno palanche per un grosso yacht e dobbiamo per forza navigare in legni minimi, allora facciamo in modo che questi piccoli legni abbiano il massimo delle comodità ed efficienza. Ma non comodità domestiche. Rovesciamo la frittata: dovranno essere comodità marine, nautiche. Quali? Vivere bene all'aria aperta, manovrare senza difficoltà le vele, ospitare molta gente in uno spazio apparentemente piccolo, rendere la barca molto ma molto più sicura. In cambio cosa cediamo? Cediamo l'illusione di stare in piedi in cabina. Noi ci accontentiamo di stare seduti senza battere la testa nei bagli e quando dobbiamo infilarci i pantaloni veniamo fuori con la testa dal boccaporto poiché con le soluzioni tradizionali la testa schiacciata contro il "soffitto" la devi sempre tenere. Dunque, nel Piviere - continua Mancini - quel poco di spazio sfruttabile l'ho tirato fuori dalla cabina che è diventata un luogo dove si va dormire, la notte, o dove qualcuno che non sopporta il sole e il vento, può stendersi. Del resto, in barche di sei o sette metri, anche quando c'è una tuga in piena regola non si può andare dabbasso se non a sdraiarsi per qualche motivo d'emergenza. Allora, che differenza fa? Per andare in cuccetta con un po' di mare a magari con la barca sbandata e pretendere di dormire o di fare la doccia, bisogna avere scafi dai nove metri in su!»
(Mauro Mancini vicino al suo Piviere Immagine tratta dal libro "Giornate Nere" Nistri Lischi editore) |
Aveva ragione Mancini: e nacque il Piviere, una delle prime barche, di quelle dimensioni, a coperta piatta. Il primo esemplare lo volle un amico del giornalista, Mario Stancapiano di Palermo. Lo costruì un maestro d'ascia di Viareggio, Gustavo Cecchi (i figli sono quelli del Cantiere S. Lorenzo). E così il primo Piviere, in cinque giorni, fece Viareggio Palermo. Tutto bene, tranne che nel golfo di Follonica si spezzò la deriva in compensato marino, e per poco non scuffiò.
Il Piviere numero due fu costruito per Mancini e fu un prototipo tutto particolare. Originale l'albero abbattibile con un congegno che il giornalista aveva "copiato" da un battello visto sfilare sotto i ponti della Senna; ben studiata la deriva mobile, estraibile, che gli consentiva di infilarsi in acque interne, nei canali. Così, anche con 20 centimetri (!) di pescaggio il Piviere non avrebbe mai sofferto della crisi dei porticcioli.
«Ci sarà sempre - soleva dire Mancini - un angolo schifato da tutti perché non ha più di trenta centimetri d'acqua: ecco, è lì che col vecchio Piviere io potevo dondolare». In questo modo il giornalista aveva praticamente "battuto" tutte le coste italiane, descrivendo minuziosamente i porticcioli e inventando i famosi "Navigare lungo costa" che ancora oggi, molti navigatori amanti del costa-costa, tengono in barca.
Era, il Piviere, la barca "giusta" per l'italiano medio. E, diciamo noi, lo sarebbe anche oggi! Sappiamo che molti storceranno il naso. Il Piviere è considerato un brutto anatroccolo. Quella prua dritta! Di bolina non va neppure con Pellaschier al timone! Balle. Con un buon vento i Piviere vanno bene. Certo, non sono dei fulmini. Ma l'italiano, colui che ha scoperto il mare solo negli ultimi dieci anni, non bada alla velocità. Bada piuttosto alla sicurezza.
«Dietro un ridosso che viene investito dalla risacca perché gira il vento - diceva Mancini - o perché sta accadendo qualche fenomeno, un Piviere potrà sempre trovare riparo. In caso estremo, su costa di sabbia, potrà sperare di arrivare fino in secca senza farsi rovesciare per lo strofinamento del bulbo. Infine, una barca di questo tipo poteva essere alata, anche su una spiaggia libera. E proprio in previsione di questa occorrenza, la carena del Piviere aveva un piano di appoggio notevole con due "vasolini" che correvano parelleli alla trave di chiglia. Mancini aveva vissuto da ragazzo a Monterosso al Mare, in Liguria, quando la gente viveva dei pescato, anche d'inverno.
E a Monterosso non c'era porto. Ma le barche uscivano lo stesso, e poi rientravano alate rapidamente sulla spiaggia, con molte braccia e senza danni. Da queste "osservazioni" il giornalista, aveva carpito l'idea della barca a vela da alare: aveva applicato per questo, due punti di forza in acciaio sui masconi della barca. Da lì partiva una "briglia" per il rimorchio o l'alaggio. Chi possedeva un Piviere non doveva essere "portodipendente".
(Immagine tratta dall'articolo di Bolina) |
«Il mio Piviere -diceva Mancini - non aveva il gabinetto separato, proprio perché quando uno dei due (io o mia moglie) doveva adoperarlo pregava gentilmente l'altro di uscire. In sei metri di barca, credete a me, questo è l'unico provvedimento possibile per acquistare un minimo dì privacy. Era con due cuccette. Perché l'avevo pensato per me e mia moglie. Aveva un armadio capace, e l'anta dell'armadio, abbattendosi, forniva un ottimo tavolo da carteggio (una carta nautica normale piegata in due) con già tutto l'occorrente infisso sopra».
Si è detto che il pozzetto del Piviere, così adatto a radunare amici (sino a sei persone senza che una sfiori l'altra, anche in navigazione) era una delle caratteristiche salienti del progetto. Ma Mancini l'aveva valorizzato ancora di più trasformando in tavolino la "cuffia" del pagliolo che chiudeva una specie di boccaporto all'altezza dei piedi. Sì sollevava questo coperchio e per forza di gravità uscivano tre "gambe" che andavano a incastrarsi in altrettanti punti di forza delle strutture. Intorno a questo tavolo, solidissimo, ci si poteva sedere in quattro. Finito di mangiare o di scrivere bastava sollevare ancora il piano, le tre gambe rientravano negli alloggiamenti e il tavolino tornava a essere la copertura di un "boccaporto". Il tutto molto leggero, solido, ben studiato.
(Immagine tratta dall'articolo di Bolina) |
Questo era il Piviere di Mancini. La barca di un grande appassionato che ha vissuto una vita per il mare. Ma come fu che il Piviere invase tutta l'Italia? la barca tutta personale del giornalista era stata progettata da Aldo Renai, grande amico sia di Mancini che di Renato Bulleri, (quello della CBS di Fiumicino). Tutti e tre toscani con l'acqua salata nel sangue, si intesero ben presto e dall'esemplare in legno ne progettarono uno in vetroresina.
E fu successo. Anche grazie agli articoli ed i libri del giornalista, questa barca così adatta e così sicura si diffuse tanto da essere definita dalle riviste specializzate dell'epoca, un "fenomeno". Perfino lo stesso Mancini che tanto aveva denigrato i WC separati, dopo dieci anni dalla nascita del numero "uno", si ricredette al punto tale da acquistarne uno, prodotto dalla CBS.
Parlando di questa nuova barca in "plastica", Mancini diceva: «Com'è questo Piviere? Non è più a deriva ma ha il bulbo e questo basta da solo a radiarlo dalla categoria delle barche e a farlo migrare verso gli yachts. Nel mio, di "antico" sono riuscito a conservare due cose: una sospendita centrale per sollevare la barca senza imbragarla e le manovre portate nel pozzetto con la civetteria di quattro winches e un rullo. Il rullo è collocato in maniera da sembrare una parte del boccaporto di prua ma in realtà permette di serrare un fiocco mentre si tira su l'altro. E tutto dal pozzetto. Questo Piviere ha doppio strallo di prua. Devo dire che il rendimento a vela è lievemente superiore all'esemplare a deriva che possedevo io, anche se i termini di sicurezza assoluta non sono aumentati in proporzioni elevatissime. Mi spiego: il Piviere a deriva è capace di raddrizzarsi, da solo, anche quando tocca la superficie dell'acqua con la punta dell'albero. Circa a cento gradi. Quello a bulbo si rialza da una "abbattuta" di 120 gradi. Come si vede siamo entro limiti di larga garanzia perché per far coricare in tal modo la barca bisognerebbe essere sorpresi con tutte le vele intavolate al centro da un vento al traverso quasi da uragano. Con in più un equipaggio a bordo del tutto inefficiente. E' una situazione che mi sembra improbabile.
«Ma non è finita. L'umiliazione più grossa, mi viene dal fatto che la nuova barca ha, ahinoi!, il gabinetto separato! Tutto ciò che ho odiato nella mia vita nautica me lo ritrovo addosso, oggi... E' uno stambugio scomodo che per essere usato con un minimo di rispetto per tutti, devi pregare chi è con te di andarsi a sdraiare nel pozzetto.
Come era sempre avvenuto anche senza stanza separata ... ».
Del Piviere 6,14 ne furono costruiti 350 esemplari! Pensiamo che sia ancora oggi un record nazionale ben difficilmente eguagliabile. Dei "pivieristi" venne creata una associazione di proprietari che si radunarono ogni anno all'Isola d'Elba per una crociera di gruppo, verso la Corsica e la Sardegna.
(Piviere 6,14) |
Poi nacque il Piviere 6,60, fratello maggiore. Questa barca fu costruita sempre dal cantiere di Fiumicino, per un totale di ben 160 esemplari, fino a due anni fa... (1985 n.d.r.) Poi è venuta la crisi. La crisi di chi non è stato capace di gestire la passione per il mare. Di chi, ingordo (fisco & C) ha pensato solo a spremere il limone fino alla fine.
(Piviere 6,60) |
La fine di chi? Non certo di chi ama il mare. Oggi sono ancora tanti i Piviere in navigazione. Una barca che potrebbe far riflettere sui guai della nautica nazionale. Quella era una barca che ha incontrato il favore del pubblico, senza aver mai vinto regate, ma solo perché era comoda. Quella comodità. grande pozzetto, interni per due-tre persone disposte a "scivolare dentro", senza quelle false comodità delle tughe o dei WC in locale separato. Proprio come diceva Mauro Mancini, uno che se ne intendeva !