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                                                                  Il ribelle

A lui piaceva scrivere raccontini su cose e persone di mare. Gli piaceva inventare personaggi che nel mare e nella navigazione a vela cercavano e talvolta trovavano quella libertà dai vincoli,dai doveri, dalle norme, dalle pastoie che tiranneggiavano la vita ordinaria. C'era un poco di autobiografico in ciò che scriveva, soprattutto quello che proveniva da certe aspirazioni alla anarchia,alla liberazione delle catene che subiva nella vita reale. Talvolta prendeva spunto da persone conosciute e situazioni vissute, ma per lo più si inventava tutto, attingendo ai desideri nascosti nelle pieghe dell'impossibile.

Accadde che quella volta aveva deciso di inventarsi un personaggio che rappresentasse senza compromessi la quintessenza di tale vocazione,una specie di nume tutelare dello sradicamento di ogni legge. Si mise dunque a tracciare un profilo psicologico che contenesse il peggio di ciò che una totale aspirazione alla libertà individuale richiedeva .

Ne venne fuori una figura esemplare ,un ribelle allo stato puro, anarchico, rissoso, insubordinato, polemico,irrequieto, una peste dall'effetto dirompente se messo in un contesto contenente anche vaghi intenti di ordine e disciplina. Pensato come assolutamente impossibilitato a piegare la sua volontà a ogni necessità proveniente dall'esterno, e totalmente rivolto ad una cieca obbedienza agli ordini interni, ben descritto nei minimi dettagli in questo suo unico aspetto, bisognava adesso fargli fare qualcosa, farlo agire, insomma collocarlo all'interno di una storia in cui esaltare tali caratteristiche di totale idiosincrasia a tutto ciò che è prescritto.

La naturale tendenza dell'autore a servirsi dell'ambiente marino come cornice ideale di tale libertarie vedute, gli suggerì di collocarlo dentro una possibile storia, che si svolge su un veliero su cui è imbarcato assieme ad alcuni suoi occasionali compagni in navigazione di trasferimento per conto terzi. E in questo contesto si manifestarono le mille difficoltà che il carattere del personaggio imponeva alla storia stessa.

Più il nostro autore cercava di confinarlo entro linee di comportamento assegnate dal logico svolgersi degli eventi e più il suo personaggio debordava dai confini assegnati per fuggirsene per conto suo e ficcarsi invece in assurde complicazioni senza vie di sbocco. Ogni sviluppo di un episodio in quel racconto veniva dall'autore pensato in un certo modo e concludersi in possibili logici sviluppi, ma appena avviata l'azione esso gli scappava di mano e si trasformava in altra cosa. Ogni situazione gli stava stretta, tutto quelo che si proponeva di fargli fare dentro la storia velica, si rivelava a causa di quel suo caratteraccio una circostanza buona per cercare guai a non finire. Anche le cose più ovvie che si richiamavano a delle necessità imperiose venivano regolarmente disattese dal nostro insofferente soggetto per cui per esempio,lasciato a fare il suo turno al timone, se ne va allegramente a dormire e quando l'indomani gli viene chiesta spiegazione del suo comportamento se ne esce con risposte tipo. "Non seguo direzioni predeterminate" oppure"Se sono io al comando,comando io e vado dove mi pare".

Il bello era che quelle anarchiche risposte l'autore se li vedeva spuntare in maniera quasi automatica mentre scriveva e non c'era modo di rimediare correggendole. Per cui l'autore, per far funzionare la storia, doveva poi rimaneggiare l'accaduto e accomodare il prosieguo agli effetti imposti dalle iniziative del suo imprevedibile personaggio.

Quella che l'autore considerava una cornice ideale per esprimere la propria liberta, sulle spalle del suo personaggio assumeva invece l'angustezza di una prigione in cui ogni cosa ha il suo posto assegnato, ogni vocabolo ha il suo significato preciso, ognuno deve fare quello che gli altri si aspettano che faccia, dove non c'è libertà di movimento, dove devi sopportare i vincoli,gli orari,gli ordini, degli altri. Tollerare vicinanze obbligate, ritmi assegnati,gerarchie anacronistiche, e ogni altra gabbia possibile. Insomma il massimo dell'aspirazione alla libertà individuale mal si adattava al massimo della vita libera che l'autore aveva da sempre ritenuto essere dato dal mare e dalla navigazione a vela.

Già le pagine precedenti erano state un bel pandemonio. Litigi a non finire tra i componenti , ripicche, prepotenze,perfino un tentativo di pirateria ai danni dei suoi stessi compagni. Ma faticosamente l'autore aveva potuto fino ad allora tamponare le falle e seppur con rabbecci vari la storia andava avanti zoppicando. La cosa durava già da un pezzo e in nostro autore cominciava già a pensare che la sua storia velica non si addiceva a tale individuo.

Si arrovellò allora a pensare un altro contesto : scartando l'idea di farlo agire da barbone, esaminò la possibilità di rivestirlo con abiti di mentecatto in nosocomio per alienati, poi di delinquente senza rispetto per nessuno,poi vagliò l'ipotesi di mercenario al servizio di se stesso. Ma ben presto si rese conto che in qualsiasi storia lo collocava, le regole, la dipendenza da qualcosa, urtava contro la voracità libertaria che esigeva la sua creatura.

Sicchè un bel giorno arrivò alla conclusione che l'unica via d'uscita era di ridimensionare il personaggio, diciamo a dargli una educazione più conformista, più rispettosa almeno della dipendenza che gli doveva non fosse per il fatto che era comunque una sua invenzione. Meditava quindi di rendere più rotonde le asperità del suo carattere, uccidendo quell'eccesso di baldanza con cui l'aveva creato.

Quel giorno nel sedersi davanti alla tastiera l'autore che aveva ormai dovuto rassegnarsi a discutere su ogni decisione che prendeva con il suo polemico ed insofferente personaggio, era fermamente deciso a rifilargli una bella lezione e a farlo rientrare,volente o nolente nei ranghi di un subordinato in attesa di più idonea collocazione letteraria. L'aveva quindi ammonito ancora più aspramente del solito, e gli aveva anche detto senza perifrasi che non era più disposto a subire ingerenze continue nel suo lavoro creativo.

Il personaggio con quella sua solita faccia da schiaffi, lo interrompe e poi sfoderando un sorrisetto carico di insolenza senza precedenti, con un tono di sfida e di provocazione gli fa di rimando: "Ti scappo dalle mani, eh! "

A questo punto il colmo fu raggiunto e il nostro esasperato autore ricorre alle minacce esplicite: "Zitto e fai quello che ti dico di fare, sennò ti cambio i connotati. "

E per dare sostanza alla sua dichiarazione, col mouse si spostò all'inizio della storiella e col l'evidenziatore giallo predefinito cliccò sulle quattro righe in cui aveva dato vita alla disgraziata definizione del caratterino della sua creatura. "Vedi questo - disse brandendo il mouse come micidiale clava elettronica - se lo clicco su "taglia", tu muori!

Il ghigno già insolente del monellaccio si trasformo in una irosa maschera di sarcasmo e tracotanza . "Ah si! E chi ti credi di essere per avere su di me diritto di vita e di morte. Quello che hai messo in me è una parte di te dei tuoi sogni di ribelle,se uccidi me, è questa tua parte che ucciderai, e con essa morirà pure la tua unica strada per realizzarla. E siccome una volta messa a nudo non potrai più ignorarla perché essa vive adesso di vita autonoma, anche se la comprimi da un lato,uscirà dall'altro e ti tormenterà con la cieca potenza di cui sono fatti i sogni proibiti , sbucando dalle strette feritoie della tua civile fortezza."

Ciò detto, approfittando della sua elettronica destrezza e della velocità massima consentita dall'ultima generazione di Pentium, spari dal monitor, privando il nostro autore dell' orrendo piacere di porre fine al primo mutante concepito nell'utero fecondo del compromesso .

Ma con lui sparì anche tutta la storia che egli si era ingegnato a inventare, tutti i faticosissimi tentativi di conciliare il suo mondo di immensi spazi velici con il desiderio sconfinato di libertà che si era immaginato di potervi calare dentro.

A nulla valsero i tentativi del frastornato autore di ricorrere ai vari salvataggi elettronici. Ogni volta che individuava una labile traccia del lavoro e tentava di ricostituire il racconto, esso gli sfuggiva si trasformava in altro file, si nascondeva in insospettate cartelle, si mascherava sotto mentite spoglie di file di sistema. Insomma prima vagò dentro la scatoletta, generando scompiglio nelle ordinate schiere di tutti i programmi del suo genitore e configurando l'ordinato ordinatore nel più disorganizzato disorganizzatore che mai fosse stato concepito dal più furioso tra i più pazzi di tutti i programmatori, ma poi si allargò e organizzò la disorganizzazione nell'organico mentale.

Irruppe nel cervello, si installo nei meandri della corteccia e li cominciò il suo operato di restauratore del primevo caos. Si intrufolò nei suoi pensieri sobillando ogni abbozzo di progetti possibili, si ritagliò varianti dubitative su qualsiasi luminosa certezza esistente, mettendo scompiglio nelle più elementari decisioni da prendere, insinuandosi nel logico svolgersi degli eventi quotidiani, sovvertendone le sequenze , scompaginando i nessi logici e psicologici , la consequenzialità deduttiva ,l'anticipazione predittiva, il calcolo induttivo. Inducendo dispute oziose, istruendo pratiche polemiche, fomentando pregiudizi demenziali, partorendo dissensi , dissentendo sugli altrui parti,sulle nascite, sulle morti, abortendo, divorando, dissacrando,rivangando e seppellendo, a suo esclusivo piacimento, per sua esclusiva goduria, l'impenitente folletto dispettoso divenne il padre di suo padre e trasformò il cauto suo genitore nell'esecutore materiale, nell'obbediente automa, nel rispettoso servo del più inflessibile, autoritario padrone che avesse mai avuto, assoggettandolo alla sola tirannia accettabile: il sogno : l'imprevedibile oceano caotico in cui è possibile conciliare il fallace e miserando appagamento del reale con la sconfinata avidità e l'anarchica insoddisfazione del desiderio.

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