La tempesta dell'83
..... anche Michele racconta
Anche Michele racconta le sue pene di quelle tragica mareggiata
Per quanto riguarda la mareggiata dell'83 io la
ricordobenissimo, da allor di simili non se ne sono viste più .
Quell'anno io ho perso molto, forse più di Nunzio,
anche se per ognuno di noi la propria perdita è sempre la più grave, la più
insopportabile.
La racconto in breve per gli amici che ci leggono, perché so che Nunzio si
ricorda di me, ancora giovanissimo, inseparabile amante di una vecchia paranza
di 5 metri armata con vela latina, me l'aveva regalata
mio padre
compiuti 12 anni, nel luglio del 1973, e già allora la barca aveva 45 anni
suonati, in perfetto stato, costruita in pino americano e quercia.
Con quella barca ci ero cresciuto, l'avevo accudita,
portata a legno e riverniciata diverse volte, d'estate tutti i giorni la bagnavo,
e la ricoprivo di stracci umidi per proteggerla dal troppo sole, e via via che crescevo mio padre mi allargava i confini verso cui
potevo spingermi, prima solo tra capo Mulini e l'isola Lachea,
dove poteva sorvegliarmi con il binocolo, poi sempre più lontano fino a permettermi
la mie prime crociere (quasi sempre in solitario) fino a Capo Passero o a
Taormina.
Nell'83, conosciuta Marinella, oggi mia moglie, e deciso di farla appassionare
di barche a vela così come oggi è appassionata, mi si presentò l'esigenza
di dotarmi di una barca più comoda, che avesse almeno una piccola cabina per
dormire (e soprattutto per metterci un wc chimico,
comodità all'epoca a me ancora sconosciuta ma che pare indispensabile alle
donne in barca!), acquistai un Illimit di terza
mano e lo tirai per rimetterlo a posto sotto il muraglione del molo di levante
del porto di Catania, vicino la mia paranza che non avrei mai venduto, in
prossimità del circolo velico e vicino un bellissimo Sangermani
ed una buffa barchetta di legno di nome Dafne.
Michele e Marinella felici dell'acquisto
Per tutto novembre e
le prime settimane di dicembre mi occupai di rimettere a nuovo la mia nuova
barca, le riverniciai l'opera morta di bianco, rifeci il carenaggio ed il
trattamento al bulbo che era una massa di ruggine,
rifeci gli interni ed installai il prezioso wc,
Marinella rifoderò tutti i materassini di gommapiuma e preparò le tendine
nuove ecc ecc. in breve quando anche la cambusa
di bordo era già fornita, io presi accordi col il
gruista per il varo, ed assaporavo già la prima uscita, giacche la barca l'avevo
acquistata senza poterla provare. Il tempo era già brutto ed il vento impedì
il varo per il giorno stabilito, poco male pensai,
devo ancora
passare un po di flatting sulla barra del timone,
e poi la metteremo in acqua i primi dell'anno nuovo.
Alle 11 di sera di un giorno di fine anno che ricorderò per molto tempo mi telefona il marinaio del circolo nautico, proprio
quello che la mattina dello stesso giorno mi aveva rassicurato "non t'à
priuccupari nun c'è bisognu
di spustari a varca di sutta
u molu, u bollittinu dici ca u malutempu
passau", e mi dice " curri
curri ca ccà ce u nfernu".
Arrivato alla base del molo con la mia diana 2 cavalli capisco subito che
con l'auto non posso passare, le onde saltavano il molo alto circa 8 metri
di slancio, superando spesso tutta la banchina e riversandosi direttamente
all'interno del porto, spesso sopra le barche ormeggiate in banchina, altre
si schiantavano all'esterno e gli spruzzi che si sollevavano verticali venivano
spinti dal vento all'interno del porto creando una atmosfera irreale, non
si vedeva a più di 5-6 metri di distanza. Non potevo crederci, non si poteva
fare nulla, ma dopo una mezzora rimasto a guardare
lo scempio, forte della convinzione di tutti i ventiduenni che nulla potesse
uccidermi decido di agire, avevo notato che proprio a ridosso del molo c'era
un piccolo spazio di non più di un metro dove arrivavano solo spruzzi (dove
le secchiate d'acqua sono gocce quelli erano spruzzi!) ed allora senza pensare
mi infilo la cerata, aspetto che il treno d'onde sia finito e prima del successivo
corro radente il molo per raggiungere la casetta del circolo velico, che si
trovava in un pennello a martello della banchina lontano il muraglione del
molo abbastanza per essere al sicuro. Dovevo percorrere almeno 300 metri durante
i quali mi resi conto che stavo rischiando veramente
la vita, da quella posizione potei verificare, riprese le onde, che quelli
che avevo giudicato spruzzi, mi stavano strappando la cerata di dosso, inoltre
potei vedere volare da sopra il molo grosse lastre di pietra lavica che il
mare staccava dalla muratura del molo e, visto il loro peso, proiettava vicinissimo
a dove io correvo. Giunto fortunosamente illeso al pennello del circolo, continuando
a correre adesso allontanandomi dal molo per raggiungere la sede del circolo
che si trovava e si trova tuttora all'estremità opposta
, cosciente che una onda in quel momento mi avrebbe spazzato via, con
la coda dell'occhio ho il tempo di vedere e di capire che per le barche in
secca sotto il molo non c'è più nulla da fare, l'Illimit
è completamente schiacciato sull'invaso, due dei piatti dell'invaso che sostenevano
lo scafo ora uscivano dalla coperta, della mia paranza nessuna traccia, solo
il giorno dopo ne troverò alcuni pezzi.
Per raggiungere il circolo dovetti scavalcare alcune automobili ed imbarcazioni ammassate l'una sull'altra ed arrivato alla casetta del circolo ci trovai i tre marinai del circolo e alcuni soci accorsi in prima serata che guardavano inermi le loro barche e le loro automobili distruggersi.
EPILOGO
ecco come si presentavano i cocci della barca dopo che fù estratta dall'invaso che l'aveva infilzata
...e per la cronaca:
la barca fù ricostruita da Nunzio (quattro anni di lavoro) e adesso
naviga felicemente col nome " REDIVIVA"