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                          IL GRANDE FREDDO
                         (ALLEGORIA PER NIENTE ALLEGRA)

Quando accadde la cosa passò nella indifferenza generale.
Pochi voltarono il capo, più infastiditi che incuriositi; il tonfo fu cupo,
con un lungo brontolio come da tuono e per questo fu interpretato come un evento
naturale che nel tran tran quotidiano interrompeva il tranquillo rumoreggiare del
caos abituale.
Altri che passavano vicini, scartarono di qualche grado il loro rettilineo percorso, pi— 
per un automatico correttivo di rotta che per un reale interesse alla imprecisata vicenda.
Lo sguardo di alcuni sfiorò con palese svogliatezza la cosa piovuta dal cielo.

Era nera, ma senza precisi contorni, come sfuocata alla vista, evidente e presente, 
ma sfuggevole e indistinta, come un grumo di muco che naviga sulla pupilla, 
refrattario ad ogni sfregamento delle mani.
E si muoveva ; prima con impercettibili movimenti da plasma pseudopodo, 
avanzamenti furtivi, guizzi, poi scarti, non salti, non era vero movimento, 
dislocazione pura, era quà adesso è là. Curiosamente uguale a se stessa, ma 
cangiante in una forma indeterminabile e quindi sempre diversa.
Imprendibile allo sguardo, ma di chi?
Ormai mescolata, fusa, confusa nel grigiore di una giornata grigia di  un grigio 
pomeriggio, nel grigio panorama; inghiottita in una brulicante, indolente, 
convivenza con altre cose grigie fino al nero, pacificamente incastonata 
dappertutto, senza dimora fissa, macchia al di sopra di ogni sospetto.
Pellegrina in un mondo di fatue apparizioni, essa esisteva senza nome.

Alle volte dilatandosi trasparente, si poggiava come nebbia sulle cose circostanti,
senza nulla togliere ad esse del loro futile ma confortante diritto di esistere.
Altre volte, microscopico concentrato puntolino, entrava nelle fessure delle 
pietruzze sorelle, aggirandosi tra i geometrici contorcimenti che formano le 
impalcature delle cose.
Poi altrove, nell'aria volteggiava, stranezza acrobatica di aereo, in cosmo 
virtualmente popolato; l'indifferenza la fa ancora da padrona nell'aria come in 
terra, dove tutto si muove, nel piccolo dentro , nel gigantesco fuori; ovunque  non 
c'è posto per lo stupore dell'immobilità, quindi tranquillo accoglimento in orbis 
totalis mutevolis. Integrazione garantita, anzi epifanica occasione di trasmutazione 
certa.

Se avesse potuto pensare si sarebbe certamente annoiata, dopo tutto quel lungo 
viaggio, e per cosa poi?
Ma essa non pensava, ci mancherebbe!
Le capitò piuttosto di essere stata pensata da uno, per esempio il primo, che 
notandola spiaccicata a forma nota, simulazione inconsapevole di nera farfalla,
su sfondo di muro bianco di una fattoria fuori le mura, ma anche fuori contesto,
aveva pensato: "Muffa?".
E' bello essere pensati da qualcuno, diventare qualcosa che ha un nome, avrebbe 
potuto pensare se avesse avuto un pensiero.
Ma niente, senza pensiero certe cose carine non vengono in mente.
Senza pensarci quindi la cosa aveva modificato lo pseudopodo ventrolaterale 
superiore, allungandolo a guisa di improbabile proboscide e attirando così la 
curiosità del bifolco, che si avvicinò sospettoso e palpeggiando l'impalpabile cosa 
con le manacce callose, si chiese a mente :"Crepa sul muro?".
Ora, è difficile avere convincimenti senza prima possedere le solide basi 
dell'intelletto, ma la cosa toccata, palpeggiata, seppur scambiata per vile 
ammaccatura di muro, si senti subito diversa; s'elettrizzò tutta e come in un 
barlume di consapevolezza, qualcosa si fece largo tra le fibre delle sue elastiche 
membra evanescenti e piazzandosi centralmente come convinzione primeva risuon• 
come eco protomentale: "Crepa ergo sum!".
Il nome della cosa.
Felice come può esserlo una pietra volatile all'alba della nascita dell'Io pensante, la
cosa adesso nominata, fece giulivamente un altro ghirigoro ambolaterale,sfumando 
l'estremità più lunga del fintopiede su un bel blu violaceo con chiazze giallastre.
Stavolta il bifolco scartò di lato . "Orco, l'è una bestia schifosa!".
Rapido si volto per prendere la sua clava preferita e schiacciare l'immonda 
creatura al primo vagito di coscienza, ma quando si rivoltò non c'era più.
Svanita la bestia, riapparve il solito muro bianco con le solite crepe dell'anno 
scorso. Per nulla frastornato il bifolco si mise a rovistare tra i cespugli alla ricerca 
di qualcos'altro da schiacciare.

Si era spostata, mille miglia altrove, turbata, disturbata dalla ignavia originaria,
stavolta a forma definita, registrata nei meandri di una insospettata neotenia 
cerebrale, lunga, sinuosa, proboscite giallo maculata.
"Bestia schifosa" aveva sloggiato "crepa" e anche "muffa", difficili da catturare in 
immagini distinte. Adesso netta, chiara, vivente. serpente: idea-corpo in cui entrare 
come in una pelle-vestito, fantasia morbosa di bifolco per divenire qualcosa.
Batterio da inoculare subito in cultura bacillococca, meglio se bacillocacca, brodo 
primordiale di pensiero informe, autoreplicante, nutrito da figurazioni semantiche 
in vasto assortimento, assumere con cautela, dopo attento controllo provenienza 
genuinamente angosce collettive.
In medio stat mundus. 
La strada è tracciata, sentiero, poi strada, poi via lattea, futuro radioso  di connubi 
promettenti : dimmi chi sono, ti dirò chi sei. 
Altri bifolchi, altre inseminazioni nominalistiche, altri ricongiungimenti fecondanti
alterigie funeste, talvolta moleste, ma sempre assai leste a costruire parabole 
levigate e paradigmi spigolosi in un continuo girovagare di rivelazioni illuminatrici 
dell'umana stoltezza.
 
Volteggia il rettile primevo in dignitosa divisa di verbo vivente.
Assorbendo, divorando, plasmando materia, prima informe, in accertamenti 
ontologici, spiluccando quà o là in orbe terracqueo, a dar forma, a prendere forma 
di evidenze concettuali, di congetture virtuali, nell'agenda del bestiario umano 
globalizzato.
Plasma plasmato plasmabile, miasma assorbito con avidità sempre crescente, 
sempre meglio rimpizzato, s'ingrossa, s'ingrassa, la fatua forma pensata-pensante, 
riassume adesso lo  sconfinamento nel divino sapere di tutta la tuttologia terrestre.
Si nutre con passabile pazienza e alterne intolleranze nel repertorio infinito di 
infinite varianti, senza nulla trascurare, nutrendo a sua volta con suadenza 
permissiva, assecondando secoli bui e folgoranti illuminismi, dissertando per bocca 
di figliastri dotti e misantropi dalla vista acuta.
Si pasce, pascendo, passando da frigide alcove di amplessi non consumati, a feconde 
riproduzioni di tradimenti lascivi e deliziando avidi architetti di immonde 
costruzioni a cenacolo con la furia iconoclasta dei demolitori di turno, nell'orgia 
delle dissonanze sovrapposte, contrappunto infernale, disappunto angelicale.

Satollo, adesso motus immotus, avvinghia con spire immense l'orbis terrestris,
circoli massimi che degradano ordinate e composte a segnare con geografica 
puntigliosità latitudini adesso note, esplorate, stravolte, ma da sommi sistemi,
sistemati a sistema informale, informatico, informe se non a serpente formato.
Ai poli, collo inarcato, testa a spiare, fauci spalancate in un rutto cosmogonico,
puntate a nord, a interrogare la stella polare, muto punto di riferimento o 
d'arrivo : verso dove?

A sud, coda biforcuta, cloaca flatulente, marmitta di motore stellare, puntata verso 
il punto di partenza: e adesso?
Boh !

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