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CAPITOLO OTTAVO

 


dove si capisce che prima o poi ogni cosa finisce



Amoreggiammo assieme per undici anni...
Le gioie delle uscite senza meta. Le fantasticherie delle mete senza uscita....
Eppoi cominci a capire veramente come funziona. Impari a capire cosa ti chiede, senza quella perentorietà delle prime volte, quasi con dolcezza..."dammi più scotta, orza...orza che lo tengo...puggia...puggia che mi fai male".
"Chi non sa che la barca è una cosa viva...non ha capito niente del mare - diceva il buon Moitessier.

La convinzione che non sei matto visto che ne senti parlare con gli stessi accenti anche da altri matti e assieme ci si convince che i matti sono quelli senza fede nelle cose...

Ma quante pene ancora.

Dopo sette anni...
Non avevo potuto ottenere un posto-barca nell'allora unico circolo velico, per cui stavo in una zona riservata al libero ormeggio lungo il molo di levante del porto di Catania.
C'erano poche barche all'epoca in quel tratto di molo sotto il muraglione della diga foranea, quasi tutti barchini di pescatori dilettanti.
Una sola altra barca a vela, di legno, pesantissima, un vero relitto già allora, era così vecchia che mi faceva impressione la sua matricola :CT 3/D.
Nonostante gli ampi spazi liberi lungo il molo, le due barche erano ormeggiate vicine.
Col suo proprietario era nata una discreta amicizia e ci davamo una mano reciprocamente, ognuno controllando nei momenti difficili anche la barca dell'altro.
Ci fu una grossa mareggiata da scirocco e il porto di Catania è aperto a scirocco.
Le onde entravano a treno sballottolando tutto ciò che galleggiava.
Quella notte 3/D ruppe la cima del corpo morto :il barcone ruotò sul fianco verso la mia, si trascinò le mie cime di ormeggio e schiacciò Dafne contro il molo con il suo peso mortale.
L'assassina si salvò, Dafne affondò.
Quando la vidi attraverso l'acqua giallastra, giaceva su un fondo di quattro metri ,coricata su un fianco, il suo albero inclinato quasi a pelo d'acqua.
Capì che era giunta alla fine.
La risacca la martoriò ancora per giorni, finché si coricò definitivamente su di un fianco; anche l'albero scomparve alla vista.
L'abbandonai.
Ogni tanto, quando l'acqua diventava più trasparente ,potevo vedere il relitto che si copriva sempre di più di melma.
Poi venne la primavera e l'idea di passare una estate senza di lei mi straziava il cuore.
Mi risolsi e un giorno, benché facesse ancora freddo, mi immersi per renderle un'ultima visita.
Era adesso decisamente poggiata su un fianco. L'altro, quello che si poteva vedere sembrava intatto.
Lo specchio di poppa era staccato e guardando dentro la cabina adesso piena di detriti e fanghiglia non capivo se quello che vedevo era l'altra fiancata coperta di detriti o direttamente il fondo del porto.
Nonostante prolungassi l'ispezione fino a congelare, mi convinsi che era affondata perché si era aperta solo la poppa e che quindi l'intera struttura era integra.
Erano passati tre mesi dall'affondamento...
All'epoca c'era un tale che, su richiesta, spostava una gru dall'altra parte della città per alare le barche del circolo a cui mi appoggiavo.
Costui, dalla notoria avidità, non avrebbe mai spostato la gru per raccattare dal fondo del mare un relitto il cui valore era certamente inferiore al suo compenso. Riuscì a convincerlo tramite l'intercessione di un mio parente di cui era amico.
L'appuntamento era all'alba. E faceva veramente freddo quando assieme a Santo, il marinaio del circolo, lui con le bombole ,io in apnea, facemmo passare, dopo un'ora di sofferenze, le due cinghie dell'imbrago sotto lo scafo che poggiava il fianco sul fondo.
Quando la gru cominciò a sollevarla, storta, con tutto il peso retto dalla fiancata sottostante, quando cominciò a vuotarsi dalla tonnellata di detriti che la riempivano, quando le cinghie che la stringevano cominciarono a massacrarla, quando vidi che la fiancata su cui poggiava non esisteva più e che i brandelli di ossatura restanti andavano sparendo, spezzati dall'enorme peso ad ogni metro di sollevamento, quando capì che a vedere la luce del giorno sarebbe stato un mozzicone di Dafne, compresi la colossale fesseria che era stata quella di tentare di esumarne le spoglie.
Poggiammo il relitto su un mucchio di copertoni di camion che avevo preparato sul molo.
Il tale della gru a vedere quello scempio, non ebbe il coraggio di sfoderare la sua esosità e alla mia richiesta di servirsi da solo prelevando egli stesso dal mio portafogli per pagarsi la prestazione, si limitò ad estrarre da esso una cifra veramente simbolica.
Pietà pura in cuore di pietra...
La guardavo sconsolato: mi faceva più male a vederla in quelle condizioni che a pensarla sul fondo del mare.
Praticamente mancava mezza fiancata di sinistra. Delle ordinate erano rimasti alcuni monconi che partivano dalla trave di chiglia, la tuga era fracassata ,tutto il tavolame interno sparito, la prua era scollata dalla coperta ,mezzo specchio di poppa semi staccato penzolava trattenuto solo da alcune fibre di legno. Per non parlare della massa di fango viscido e oleoso che ancora riempiva l'interno.
Restava ancora valida la deriva a bulbo ben salda sulla trave della chiglia, l'estremità delle prua con quasi tutta la cabina e l'albero che era miracolosamente intatto.


Era stata proprio una fesseria....e in più adesso c'era il problema di rimuovere il relitto dal molo, dove non poteva certo rimanere a vita.
Piovve nei giorni seguenti e per fortuna la pioggia fece sparire quel funereo aspetto che la coltre di fango le dava.
Venne poi l'estate.
I miei amici scuotevano la testa quando accennavo ad una possibilità di intervento risanatorio.
Dicevano che tanto valeva costruirne un'altra di sana pianta e le mie considerazioni sul fatto che almeno mezza barca era ancora riconoscibile non commuovevano nessuno.
Inoltre c'era la difficoltà di trovarsi ad almeno cento metri dalla presa di corrente elettrica del vicino circolo.
Finché mi risolsi: ci provo! Almeno passo l'estate provandoci... Comprai due fogli di compensato di mogano.
La barca era stata costruita con un sistema di larghe strisce orizzontali di multistrato, fissate alle ordinate, a metà tra le barche a fasciame e le barche a spigolo ,ma alla fine calafatate e stuccate a dovere davano l'impressione di un unico fianco tondeggiante.
Non potendo contare sulla mia abilità a renderla stagna usando la stessa tecnica, mi ero convinto che si poteva ottenere lo stesso effetto con un unico foglio di multistrato.

Il progetto che avevo in testa era la quintessenza del contrario di ogni tecnica di costruzione navale.
Consisteva nel piegare l'intero foglio fino a fargli assumere la concavità giusta utilizzando come riferimento la fiancata intatta per poi ricostruire le ordinate direttamente dall'interno usando le tracce dei moncherini che ancora restavano.
Il lato debole del progetto era evidentemente dato dalla difficoltà di rendere concavo un intero foglio di 2,50 metri e dello spessore di 8 mm. Dopo un po di infruttuosi tentativi di servirsi di pesi appoggiati al centro del foglio poggiato alle estremità tra due cavalletti, escogitai un sistema che dopo le prime delusioni funzionò benissimo: sui due lati più lunghi del foglio praticai una serie di fori col trapano e poi faci passare delle cimette in doppio tra i fori di un lato e i corrispondenti del lato opposto.
Attorcigliandole su se stesse con l'aiuto di un profilato di ferro le cime si accorciavano, producendo una trazione omogenea per tutta la lunghezza del foglio che quindi era costretto ad inarcarsi. Lasciato al sole cocente di luglio e bagnato un paio di volte al giorno riuscivo ogni volta ad attorcigliare di qualche giro in più le cime, aumentando man mano la curvatura del foglio.
Dopo un paio di settimane il foglio, anche se liberato dalle cime, manteneva la sua curvatura e potevo cosi confrontarlo con la fiancata buona.
Mi occorse più di un mese, ma alla fine, con quel sistema di piegatura a caldo, ottenni una bella fiancata curva del tutto simmetrica all'altra ,che fissai provvisoriamente con dei morsetti agli storpi moncherini dell'ossatura interna.
Adesso dai fori partivano dei tiranti che facevano forza sull'altra fiancata dello scafo e con questo sistema aggiustai le piccole differenze di concavità finche raggiunsi un livello accettabile di simmetria.
Poi ricostruì le ordinate, incollate ed avvitate dall'interno.
Lo specchio di poppa squadrato non pose problema e neppure le parti mancanti della coperta.
La sigillatura delle giunzioni fondo-fiancate-poppa con stucco epossidico e strisce di mat resinate.
Rifeci gli interni irrobustendo la tenuta dell'insieme. L'albero ero riuscito a recuperarlo in buono stato, e con qualche sartia nuova ,svettò ancora invitante a nuove navigazioni.
Verniciatura, antivegetativa, varo e a metà agosto la rediviva torno a galleggiare daccapo e a veleggiare pure con sufficiente dignità, anche se su un bordo era puggera, sull'altro orziera.

Ma questo difettuccio era un tenero segreto tra i due amanti che si erano ritrovati...

Era la seconda volta che la partorivo e ormai, dopo quella impossibile ricostruzione, frutto di un amore viscerale, consideravo la mia creatura praticamente immortale.

Quattro anni ancora di pacate giornate di vento e di mare, come conviene alle vecchie, ma ancora arzille signore che si godono, senza più la frenesia dei verdi anni, le ultime gioie della vita.

Fece una fine gloriosa.


Come quei vecchi navigatori che un giorno scompaiono a mare senza lasciare traccia...come Slocum...dopo undici anni di scampati pericoli e di esaltanti esperienze, rese le sue plurirestaurate spoglie, al mare che adesso le custodisce.

I pescatori nella mia zona sono soliti asserire che ogni dieci anni ne fa una veramente grossa.
Di mareggiate di levante.
Ne avevo vista qualcuna, ma mai come quella.

Avevo deciso di fare passare alla mia creatura qualche mese invernale ad asciugare un pò.
E quindi l'avevo sistemata sull'invaso proprio sotto il muraglione della diga foranea .

Di solito quando il mare dall'altra parte s'infuriava, dalla parte interna del porto arrivavano gli spruzzi portati dal vento, qualche volta una secchiata di acqua, ma quella volta per tutta la lunghezza del molo ondate lunghe due chilometri, compatte e furibonde, scavalcarono la scarpata esterna del molo e la strada sopraelevata sopra il muraglione alto otto metri e si piombarono come colpi di magli furiosi sulle impazzite barche del circolo ormeggiate all'interno del porto...

Chi non ha mai visto una scena simile non riuscirà mai ad immaginarla.
Le barche infilavano gli alberi dentro le sartie delle altre vicine e in un ammasso vorticante di scafi sollevati dalla furia dell'acqua che si era già riversata con l'onda precedente, ricevevano dall'alto colpi di decine di tonnellate al ritmo di una ogni cinque secondi.
Non esistevano ne cime ne bitte in grado di reggere a quegli assalti infernali che si susseguirono ininterrottamente per tre interi giorni.
Non ci si poteva avvicinare a quella parte del porto. Le onde erano talmente frequenti e poderose da schiacciare, appiattendole come sogliole, le sventurate macchine che incautamente erano rimaste parcheggiate nel piazzale.
Atterriti e impotenti guardavamo la scena con i binocoli dall'altra parte del porto.
Ognuno cercando in quell'ammasso di schiuma e di scafi aggrovigliati di riconoscere la propria, ma era praticamente impossibile distinguere alcunché di verticale. La schiuma dentro il bacino era alta almeno un metro, il pulviscolo acqueo rendeva impossibile la visione e le barche si muovevano disordinatamente senza quasi rispettare la logica della fisica, assumendo stranissime posizioni; molte avevano rotto gli ormeggi che li tenevano a terra e facendosi largo in mezzo alle vicine, ruotando si erano messe prua al mare tenute soltanto dai cavi dei corpi morti; erano quelle con meno danni, altre affondate, altre sventrate galleggiavano miracolosamente in attesa del loro turno.
Uno stupendo Sangermani appena restaurato stava sull'invasatura, dovevano ancora fissare il motore che era poggiato dentro, la bellissima barca fu rovesciata dall'invaso ed il motore usci letteralmente dalla pancia aprendosi un varco e dilaniando la fiancata..
La gente inebetita da tanto scempio. Chi aveva creduto di riconoscere il relitto della propria singhiozzava, altri attaccandosi a barlumi di speranze fatiscenti, si confortavano sperando solo in danni che in altre circostanze avrebbero fatto impallidire chiunque.
Io, continuavo per ore a fissare con binocolo l'allucinazione che mi faceva ritenere di vedere l'albero in legno della mia barca, in una cosa perfettamente verticale di colore marrone sullo sfondo del muraglione grigio.


Si era insinuata nella mia testa farneticante l'ipotesi che le onde, giacché scavalcando il muraglione , formavano un arco durante la caduta, stessero risparmiando i primi metri sotto la verticale del muraglione, dove doveva trovarsi la mia povera barchetta e continuavo ad illudermi che proprio la mia barca potesse salvarsi da quello scempio.
Illusione! Mi dissero poi marinai del circolo, che erano stati evacuati per un pelo prima del peggioramento dalla sede del circolo, che la mia Dafne era stata la prima vittima di quella carneficina.
Letteralmente fatta a pezzi. Rovesciata dall'invasatura già con le prima ondate e poi letteralmente per ore sotto mazzate che l'avevano ridotta e brandelli per poi trascinarne i rimasugli all'interno del porto.
Quello che mi sembrava l'albero era invece una canaletta color legno che passava all'esterno del muraglione in verticale, con dentro i cavi elettrici dell'illuminazione del porto.
Era il 1983
Soltanto un paio d'anni fa un mio amico ritrovò nel suo garage un mozzicone del mio boma in legno che aveva raccolto galleggiante in quei giorni ,l'aveva conservato perché gli piaceva.
Me lo restituì.
E solo un pezzo di legno di mezzo metro con una canaletta scheggiata: è la mia reliquia e io la conservo gelosamente come l'unico ricordo tangibile del mio primo amore.

Ma i sentimenti, le emozioni dei primi esaltanti momenti di vela, le struggenti sensazioni di sentirsi tutt'uno con lei, le gioie delle vittorie sugli eventi, i tormenti dei rischi passati assieme, quelli non sono andati distrutti, rimarranno a cullarsi nei miei ricordi per sempre.

e..."chi non sa che la barca è una cosa viva..." non potrà mai riconoscersi nell'omaggio che questo racconto le ha voluto fare.

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