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CAPITOLO QUARTO
...che se non le sudi le cose, non saranno mai completamente tue.
Così è scritto.
Narrando me ne riaccorgo.
Allora...
Passai i primi 10 giorni in Sicilia tentando di rimettere a posto la mia disastrata
vita lavorativa, ma la mente l'avevo ancora sullo iogt - come enfaticamente
la chiamavo.
Già due giorni prima della data prevista, bivaccavo dentro la mia Fiat 125 special
con la mano sulla chiave d'accensione e l'occhio di falco puntato sulla strada
per scrutare l'arrivo del postino.
Che arrivò: gli andai incontro col motore imballato. Poverino pensò certamente
a qualche luttuosa notizia, quando mi vide partire a razzo senza nemmeno aprire
il telegramma.
Non ho mai amato la velocità, anzi oggi detesto andare in macchina, ma quei
200 e passa chilometri li fece un pazzo scatenato. A tavoletta e col cuore in
tumulto.
Dovete sapere che il porto di Porto Empedocle ha un lungo molo che forma come
un canale d'ingresso. Appena potei vedere l'intero panorama portuale mi si agghiacciarono
i bollori.
La Door, era il nome della nave, era ripartita e ora procedeva lentamente, già
a metà del canale per uscirsene e riportare la mia amata dall'altro lato dello
stivale a Genova...
Disperato la rincorro fino alla testata del molo strombazzando inutilmente col
clacson.
Certamente qualcuno a bordo si aspettava ancora qualcosa del genere, perché
la nave appena fuori dal canale, non accelerò anzi parve rallentare.
Ero sceso dalla macchina lasciando il motore acceso e lo sportello aperto e
mentre mi sbracciavo in inutili segnalamenti, l'occhio mi andò su un barchino
a remi che se ne stava ormeggiato ai piedi di una scaletta di ferro affissa
verticalmente sulla facciata interna dell'alto molo.
Mi ci fiondai dentro.
Doveva appartenere a qualche pescatore dilettante e senza pretese perchè aveva
uno scalmo che ballava allegramente dentro il suo alloggiamento.
Ma io ero deciso di andare a riprendermi la mia amata che stava per essere esiliata
di nuovo in terre lontane e remai...remai come uno scalmanato con lo scalmo
sinistrato.
La nave sembrava volermi aspettare; erano soltanto alcune centinaia di metri
ma sembravano metri infiniti.
Quando giunsi a tiro di voce, la vidi apparire : l'avevano imbracata con delle
cime a scioglimento dall'alto, sicchè dopo vari dondolii fuoribordo la scaraventarono
letteralmente in mare, lasciandola cadere senza complimenti da alcuni metri.
Si schiaffò in acqua con un tuffo sbalorditivo alzando un enorme spruzzo che
per brevi istanti la fecero sparire alla mia vista, la quale , ottenebrata dal
groviglio di laceranti emozioni, già vedeva la mia barchetta naufragare miseramente
sotto il mio naso .
Galleggiò invece. Era tutta intatta.
Tutta? Cristo, è senza l'albero!
Mi sgolo, ancora a 50 metri dalla nave: "L'albero, il mio albero..."
La nave procedeva, adesso più spedita. Vengo a contatto col mio bene, afferro
una cima, lego la mia riacquistata proprietà a poppa della barchetta, più per
irragionevole titolo di possesso che per astuta manovra marinara, e nello stesso
tempo assisto impotente alla scena.
Due uomini tengono dalle due estremità il mio albero legato a tutt'uno col boma
e stanno per lanciarlo dall'alto della nave che continua ad allontanarsi.
"No! Affonderà!" - Urlavo disperato. Col cuore straziato seguì l'elegante volteggio
in aria. Si infilò di penna nell'acqua e scomparve. Era di legno, ma c'erano
attaccate svariate decine di chili tra sartiame, bozzelli e ferramenta varie.
Riemerse invece, ma solo l'estremità superiore. Capisco che è solo una questione
di attimi e sarebbe andato giù.
Ai remi, ai remi. Macchè, adesso con i 1500 chili al seguito non mi spostavo
nemmeno.
Sciolgo, remo all'impazzata facendo forza sullo scalmo che non voleva saperne
di stare al suo posto, fissando ipnotizzato il lento accorciarsi di ciò che
emergeva..
Arrivai ad acchiapparla per la punta dei capelli, che in questo caso erano rappresentati
dall'ultimo centimetro dell'antenna CB che svettava in testa d'albero.
Lui si era messo in verticale a causa del peso del boma legato alla parte bassa
,ma riuscì ad afferrare saldamente quella benedetta frusta di plastica e pian
piano...
Avete mai provato a tirar su una cosa lunga sei metri, pesante una quarantina
di chili, in verticale, stando sul bordo di un barchino dondolante e con le
braccia surriscaldate da uno sforzo precedente?
No? Allora se dovete augurare a qualcuno di schiattare, tenete presente la scena.
Non so come ce la feci; ma sfiancato , dopo qualche oretta, avevo ripreso possesso
del mio miracolato bene.
Frattanto mi ero allontanato almeno 500 metri dall'imbocco del porto e in più
c'erano almeno altri 1000 metri fino ad un attracco possibile al suo interno.
Ripresi fiato e cominciai a vogare, con iogt a seguito. La nave era già un puntolino
all'orizzonte.
Stavolta non c'era fretta ,ma la leggera brezzolina pomeridiana, nonchè la leggiadra
ondicina che gli faceva compagnia ,abbinate al peso della flottiglia a seguito,
più lo scalmo che continuava a nutrire l'insana passione di uscire ad ogni colpo
di remo, si erano coalizzati e mi tenevano praticamente incollato sul fondo.
1500 metri in tutto sono una bazzecola, ma come farli? Inoltre ero al centro
dell'imbocco di quel frequentatissimo porto ...e se una nave dovesse apparire,
come fò?
Il motore era ben legato nell'angusta cabina ma di benzina (ricordate l'ordine
perentorio del nostromo?) neanche l'odore.
Una sola possibile soluzione, come al solito faticosa e difficile: montare l'albero
e procedere a vela.
Si ma come?
Già tirarlo sulla barca in orizzontale era stata un'impresa degna di stare tra
le fatiche di Ercole, tirarlo su da solo, con la leggiadra ondicina che fa da
accompagnamento danzante e tutto il resto, è una follia.
Ma tant'è...di follie è piena 'sta storia.
Riesco a portare il piede dell'albero all'altezza della mastra a cui lo fisso
con una cimetta per non farlo scivolare, mentre da sopra la tuga tento di sollevarlo,
ma oltre una certa altezza non vado.
Lampo di genio da ingegnere egizio alle prese con le piramidi.
Monto il boma sotto l'albero a mo di cavallino piazzandolo sulla tuga e riesco
a ottenere già una discreta angolazione verso l'alto, dopodicché fisso alle
lande sartie alte e patarazzo ,faccio passare una drizza dentro un bozzello
fissato sul musone a prua e comincio a tirare .Partendo da quell'angolo di sollevamento
dato dal boma, oscillando paurosamente ad ogni minimo movimento, come un'araba
fenice, come un'alba radiosa, come l'alzarsi del sipario all'opera, l'albero
punta finalmente il suo dito(antenna) verso il cielo dei miei natali.
Il muscolo cardiaco che prima pompava sangue per sostenere lo sforzo del tapino,
adesso pompava gioia liquida.
Ma come al solito durò solo una mezz'oretta... il tempo di arrivare dentro il
porto.
L'albero fissato alla meglio, non ero riuscito a farlo entrare nella mastra
e quindi rimase legato con una cimetta; armai le vele e gongolante come un fanciullino
appena promosso alla seconda elementare, bolinai stanco ma felice verso la successiva
tappa dei miei guai.
Sulla testata del molo la mia macchina.
-Oddio! ho lasciato acceso il motore e anche lo sportello aperto.
Accanto ad essa un signore, ben vestito, che non mi perdeva d'occhio.
Quando il bordo di bolina mi portò sotto la sua verticale, fa dei cenni che
chiaramente indicavano che voleva parlarmi.
Sarà un curioso che si chiede cosa ci fa una macchina col motore acceso sulla
testata di un molo, sportello aperto e a 50 centimetri da un volo in mare.
Poi realizzai : - Dev'essere invece il proprietario del barchino che adesso
mi seguiva scodinzolando al traino. Certamente pretenderà spiegazioni per l'apparente
appropriazione indebita del suo natante.
Figuriamoci! Dopo quello che avevo passato, simili questioni mi parvero quisquilie.
- Gli spiegherò, gli offrirò da bere, capirà e finirà con una stretta di mano.
Procedetti verso il fondo del porto, dove era possibile trovare un attracco
. Il tale mi aveva seguito con una sua macchina e adesso discesone, si era piazzato
braccia conserte davanti allo spazio dove, con una riuscitissima manovra, ero
riuscito a ficcarmi.
Mi tenevo ancora aggrappato ad un anello che pendeva dal molo quando l'elegantone
senza scomporsi mi fa: "E' sua quella barca?"
Ora il fatto era che il suo dito non indicava dove avrebbe dovuto e cioè (per
cogliere il senso coerente alla sua ironica allusione) la sua di lui barca,
bensì esso era indiscutibilmente puntato sulla mia di me barca.
E perchè mai doveva chiedere se fosse mia, la mia sudatissima creatura.?
Spiazzato e un poco frastornato da quella mancanza di logica rispondo con un
piglio fiero e perentorio :"Certo che è mia!"
-"E allora, appena ha finito, mi segua"
E che vuole costui? Eppoi è vestito troppo bene per essere il proprietario di
quel miserevole barchino.
Arruffai le vele dentro. Legai entrambe le barche affiancandole ad un peschereccio
e scesi...anzi salì sul molo.
Senza dir altro il gransignore mi precede e si dirige verso la sua macchinona
di superlusso e mi fa cenno di entrare col dito, che sempre più sembrava quello
dell'inquisitore.
-Vuoi vedere che mi vuole portare in questura per una cosa così ridicola..."
"Posso spiegarle..."
"Dopo!!"
Mentalmente cominciai ad affilare l'arma bianca che uso in simili frangenti
:la dialettica.
Attraversiamo gli spiazzi del porto e si ferma davanti a un edificio dall'aria
importante.
Sempre senza fiatare mi pilotò in un ufficio pieno di scartoffie e dopo che
ebbe ben bene chiuso la porta ,mi soffia a un palmo dal mio viso.
"E' quindi sua la barca a vela che è stata sbarcata dalla nave Door! "
Avrei voluto dire qualcosa a proposito del concetto di sbarco, ma per la verità
le mie fauci avevano cominciato a seccarsi ,per cui balbettai :"Si,ma che c'entra..."
Non mi lasciò finire.
"Allora mi ascolti: lei deve alla Compagnia di navigazione Vattelapesca una
ingente somma di denaro per il noleggio del mercantile Door per la durata di
tre giorni."
Credo che se mi avesse comunicato che ero reo colpevole di tutti i reati commessi
da tutti gli uomini della terra, in tutti i tempi ,mi sarei riavuto prima dallo
sbigottimento.
Mi accasciai sulla sedia del supplizio e mentre in testa mi squillò un sonoro
"Ci risiamo!"
Il riccastro imperturbabile snocciolò la storia che segue.
All'arrivo a Sfax la nave aveva dovuto evidentemente tirare fuori la mia barca
dalla stiva per procedere allo scarico del cemento sottostante.
Barca che fu calata in mare e ormeggiata a fianco della nave per tutta la durata
dei lavori di scarico.
All'atto della partenza, il nostromo ordina ai marinai di risalirla, ma la barca
non c'era più.
Da consultazione con i marinai che l'avevano vista ancora qualche giorno prima,
si giunse alla conclusione che il blocco di cemento che qualcuno di loro aveva
notato essere rimasto saldamente attaccato alla chiglia, doveva averla fatta
affondare.
Il comandante greco-latinista impartisce in italico idioma l'ordine di spegnere
i motori della nave "...che non partirà fino a quando non si troverà la barca
del mio amico siciliano".
La quale dovrebbe sicuramente giacere in 15 metri di fanghiglia color pece che
è il porto di Sfax.
Ingaggio di sommozzatore professionista tunisino, previa denuncia alle Autorità
portuali di evento straordinario. Si apre fascicolo burocratico e si salda onorario
sommozzatore, il quale dopo aver scandagliato l'intero bacino portuale, decreta
"Barca non c'è!"
Denuncia polizia per ormai evidente altra ipotesi denominata a verbale furto
d'ignoti.
Polizia sguinzagliata, barca ritrovata dopo giorni due alla deriva in altro
angolo del porto, apparentemente con tutto a posto.
Polizia asserire "No furto, voi avere legato male barca". Verbale con risarcimento
spese indagine e ricerca natante.
Nel frattempo compagnia navigazione avvertita almeno tre giorni ritardo tabella
marcia per sosta improduttiva nave da carico.
Comandante che prima aveva detto trattasi di suo natante personale, adesso irritatissimo
con me povero ignaro, aveva snocciolato tutto ai suoi superiori. "Potete rivalervi
arrivo nave a Porto Empedocle su malcapitato che ritira barca".
Torturatore specializzato, cioè lui ,spedito da Livorno in missione e con licenza
di uccidere in tasca, in agguato da due giorni per sbranarmi.
Fiaccato dalle 10 mila tonnellate di guai contenente impressionante sequela
di reati ai danni dell'erario mondiale, che avevo commesso senza neppure muovere
un dito, cercando di inghiottire una inesistente traccia di saliva, chiedo:
"Quanto costa?"
Il plutocrate fa tre giri attorno alla mia sedia con l'evidente gusto sadico
di una belva che sta per azzannare l'ormai intrappolata preda e poi, piantandosi
di fronte ad un residuo di me ,praticamente in posizione testa sul ceppo con
boia e mannaia, sbotta in un ghigno sornione e sciorina:
"Naturalmente la Compagnia si rende conto del fatto che è stato un incidente
e che non era sua intenzione...d'altronde il comandante aveva il diritto di
imbarcare un suo bagaglio personale, se lei mettiamo fosse un suo parente, come
certamente se ho ben capito lei è, sicuramente ..in tal caso si potrebbe, diciamo,
chiudere un occhio.
Naturalmente lei mi firma una dichiarazione che...bla...bla...
Pero lei...benedetto...poteva portarsela da solo la barca..."
- Lo bacio o lo strozzo?- pensai per un istante.
Andammo a prenderci il caffè. Ma al posto dello zucchero avrei voluto metterci
il valium per contenere quelle ampie oscillazioni che le mie gambe testardamente
continuavano a produrre.
Quando tornai sulla barca una rapida ispezione confermò il furto: dalla barca
erano scomparsi tutti gli oggetti in vile pvc : dai bidoni per l'acqua alle
stoviglie in plastica.
Evidentemente in Tunisia la plastica è un bene prezioso!
Ancora una volta graziato!
Io non so a quale stirpe appartengano i santi che ci volteggiano attorno, ma
dopo quella volta cominciai seriamente a considerare di essere circondato da
una barriera invisibile di protettori burloni che si divertivano a mettermi
nei guai per poi tirarmici fuori con repentini colpi di scena.
Consapevole di questo divino scudo, mi accinsi, dopo qualche giorno a scolarmi
180 miglia di canale di Sicilia a metà settembre.
Ci misi un altro mese, durante il quale dovetti ritoccare la mia visione sullo
scudo : i miei protettori non erano in buoni rapporti con Nettuno.
Mi consolai pensando che anche Ulisse ci era passato...