|
CAPITOLO SECONDO
Gli faccio comporre il numero, il bambino
spiega la situazione mentre, col tasto di trasmissione che tiene premuto, ascolto
impotente una conversazione in cui un bambino cerca di convincere un adulto
ad uscire in mare di notte con quel tempaccio, per andare a salvare in un punto
imprecisato del delta padano un signore che si è perso e che...
Non so a quale santo lo devo, ma di li a poco una voce più potente si immette
sul canale e mi comunica che sta partendo con un motoscafo per soccorrermi.
Naturalmente la mia posizione è molto approssimativa. "Sono partito stamane
alle 7 da... e alla media di quattro nodi, costeggiando i canali, alle 16 stavo
imboccando un canale che mi sembra portasse a..".
Insomma il massimo per uno che deve trovarti di notte in quell'inferno di dedali
e canali tutti uguali.
Passano le ore, ogni tanto il tale mi chiama "Qui dove credevo che foste dalle
indicazioni date, non c'è nessuno, proviamo più avanti".
Il mare adesso è veramente cattivo.
Col buio non riesco a capire se stiamo ancora arando.
Ho un brutto presentimento..
Mi richiama per dirmi le stesse cose, colgo dal suo tono che stanno cedendo,
sono due a bordo e devono trovarsi anche loro in una brutta situazione.
"Avete dei razzi?" - mi chiede improvvisamente.
Accidenti, non ci avevo pensato : ho una pistola Very con sette razzi, ci sparavo
per festeggiare Capodanno. Dev'essere nel valigione.
Lancio il primo razzo. Bellissimo. "L'avete visto?"
"Macchè!"
Secondo razzo: Niente. "Ma dove vi siete cacciati?" E' un poco irritato. "Ci
spostiamo verso terra"
Quarto...quinto... Giuseppe adesso piange decisamente spaventato. La moglie
è bianca come un lenzuolo. La mia fede vacilla rovinosamente.
Sesto, il nodo alla gola ormai è stazionario.
Settimo e ultimo. "Eccolo! Ma siete proprio a terra!" Sento l'urlo sollevato
del mio corrispondente. E' fatta -mi dico.
Illusione! Il peggio doveva ancora venire.
E quando arrivò aveva l'aspetto di un mostro di 10 metri. Rombava sull'acqua
e dalle sue bocche posteriori emetteva ruggiti da coprire il frastuono del mare.
Era di legno, con una enorme prua affusolata e minacciosa. Al centro campeggiava
un enorme faro con cui ci avevano puntato già da un pezzo. L'uomo alla ruota
era piccolo, con gli occhiali, aspetto nervoso, non udì mai la sua voce: era
il cervello. L'altro, un gigante con un vocione cavernoso, si sporgeva, mentre
il motoscafo avanzava e urlava qualcosa.
Il motore con gli scappamenti a pelo d'acqua vomitava boati a 100 decibel che
mi impedivano di capire.
Si avvicinarono ancora più pericolosamente : da fermo quell'enorme bazooka faceva
paura. Rollava in modo pazzesco e il tale alla ruota doveva accelerare a bruschi
tratti per controllarne l'assetto e ogni volta la sua traiettoria puntava micidialmente
contro il mio scafo.
Quando capì cosa intendevano fare, agghiacciai.
Volevano tentare un trasbordo e abbandonare la mia barca per tornare in seguito
a riprenderla.
"Giammai - mi urlo dentro- Piuttosto resto qui tutta la notte".
Quello al comando capì che testa dura ero e disse qualcosa all'uomo megafono
che riferì.
Ci avrebbero rimorchiato fino a Chioggia
Dopo una serie di infruttuosi tentativi, riuscì ad afferrare una cima che poteva
trainare una petroliera, così grossa e dura che non poteva mai essere fissata
alle mie striminzitissime bitte. Arrangiai alla meglio con una mia cima e quando
fui pronto, cominciai a salpare l'ancorotto.
Non ce la facevo ad avanzare, a causa delle onde che mi respingevano.
"Taglia"- mi ingiunge il gigante.
Così feci e comincio la tregenda.
Con un violento strattone il mostro raddrizzò la mia prua verso il mare aperto
e fin dai primi istanti apparve chiaro quello che sarebbe successo dopo.
La bestia non poteva procedere, anche al minimo , a meno di 5-6 nodi, allora
strattonava, poi metteva a folle, il mare la traversava, appena arrivava un'onda
rollava da far paura, allora il timoniere dava un colpo di motore e virava di
90 gradi per prendere il mare di prua. La conseguenza era che lo strattone arrivava
con un angolo di tiro che avrebbe messo a dure prova bitte ben più solide delle
mie.
Urlai quando la prima si divelse con uno schianto e finì in mare. Dopo minuti
eterni compresero, rallentarono, si accostarono, la loro prua minacciosa oscillava
come una mannaia a tre, quattro metri dalla mia infelice barchetta.
Insistevano nel folle proposito di farmi abbandonare la barca. Passai democraticamente
l'opzione al mio equipaggio: niente da fare si resta a bordo.
Il gigante urlando in un sempre più marcato dialetto veneto, mi fa capire che
mi devo legare all'albero.
Lo feci. Non l'avessi mai fatto.
All'inizio pareva resistere bene.
I tali ormai all'esasperazione, visto che funzionava, accelerarono.
Io aggrappato al timone lo sottoponevo ad uno sforzo micidiale per stare sulla
loro scia.
Durò così qualche ora, in quella baraonda di mare ogni metro di avanzamento
mi sembrava un miracolo...e un incubo.
L'albero soffriva. Ad ogni strattone vibrava tutto, e quando entrava in controfase
con l'onda, sembrava pronto a volare via.
Ad un tratto quando il mare aveva raggiunto la sua massima cattiveria ,la mazzata
finale.
L'agugliotto inferiore cedette. La pala assunse una posizione obliqua e restò
così incastrata, deformando l'altro agugliotto e obbligando la barca ad un pericoloso
sbandamento e ad una andatura a zigzag veramente pazzesca.
Urlavo, urlavo ,ma i tipi avevano solo voglia di arrivare e avevano abbandonato
la vigilanza iniziale.
Poi finalmente si accorsero del disastro.
L'albero adesso ,non più in tensione, pendeva pietosamente da un lato.
Stavolta erano fermi e duri: "O trasbordate o vi lasciamo qui!"
Stavo per cedere. Poi una voce imperiosa mi suggerì di bluffare.
"Potete andare" dissi con una calma estranea al tumulto interiore.
Forse fu a causa del mancato guadagno che i due si ripromettevano di ricavare,
fatto sta che conciliarono con un :"Bisogna attaccarsi di poppa".
Le bitte di poppa erano della stessa taglia delle scomparse sorelle di prua,
per esclusione quindi il solo punto che sembrava disponibile al successivo massacro
era la staffa del motore.
Per l'esattezza legai la cima al motore stesso e ricominciò l'incubo.
La barca aveva poco più si 50 cm di bordo libero a poppa e lo specchio era piatto
e squadrato.
Il resto bisogna soltanto immaginarlo.
Al primo strattone entro praticamente sott'acqua, opponendo una resistenza inaudita
all'avanzamento. Procedeva con un enorme baffo davanti e di dietro una buffa
prua in alto, dove stavano alloggiati i miei cari praticamente prigionieri dentro.
Io inerme, impotente nel pozzetto semi sommerso col cuore straziato alla vista
di quello scempio.
Ma avanzava... Non mi ricordo a cosa pensavo durante le successive ore, ho solo
la
vivissima sensazione che lo scorrere del tempo era come sigillato nell'attimo
presente,
ogni metro era quel metro, ogni secondo non si congiungeva ne col precedente
ne col successivo. si dilatava in se stesso e poi svaniva nel nulla.