seguendo gli amici sui Forum mi domando se sia corretto il
titolo dato a questi racconti sparsi nellarchivio di Naima e che parlano del
Dinghy appeso al soffitto del mio garage.
Mi domando anche se non sia il caso di dare un filo
conduttore a chi improvvidamente passa a leggere questi ultimi pezzi della
storia.
Storie che non mi risolvo a concludere e che rinascono per
sostituire lo zero accanto alla voce racconti della nostra rivista.
Adesso salto ad unaltra, nata alla fine dellestate, quando
ho interrotto la costruzione del Dighy.
Avrei voglia di aggiungere ancora delle foto: sono i miei
amici nelle sere in cui si parlava della barca nella casa di Gianni, datemi
qualche consiglio, sono pertinenti a sono troppo personali?
A volte vorrei sapere se fa ancora piacere quello che
faccio.
Saluti
Franco
ODORI E RICORDI
A volte,
nei i sentieri sterrati attraverso i campi, si sente lodore del mare: così
imprevisto e forte da supporre che dietro lultima fila di alberi, oltre il
terrapieno, debba apparire la distesa azzurra senza fine.
Completando
il guscio: termina anche la permanenza alla cascina, così una mattina d Aprile
poco dopo lalba sono tornato da Gianni per trasportare il Dinghy nel garage
vicino alla casa dove abito, ormai provvisto di porte.
Laria è
pulita ed i contorni delle cose tagliano il cielo come cocci di vetro. Il sole
sopra la bruma riflette di sbieco sullerba e sulla terra umida; un trattore
già al lavoro rivolta la terra, sopra a lui un nugolo di uccelli lo segue.
Lodore
dei fossi raschiati, il trattore sperduto nei campi ed il confine azzurro dei
monti si tramutano nella mente in immagini di mare.
Il guscio
privo di ossatura interna, si contrae e si distende ad ogni scossone dellauto.
I chiodi di rame infissi nei fori sulle tavole del fasciame non sono ancora ribattuti
ed io guido tra le impervità della strada con lorecchio e lanimo tesi in
ascolto: temendo che per quei sussulti una tavola possa allentarsi e spostarsi.
Il viaggio si conclude senza
disastri
e con laiuto di Eugenio deposito il dinghy sul pavimento del garage.
Della
manciata di chiodi avuti in regalo da Giorgio restano alcuni esemplari solitari
sigillati nel barattolo di confetture:
è merce
questa che non si trova nei negozi qua attorno, occorre passare lappennino,
scendere fino al mare.
Così in
quell Aprile sono partito , ho scavallato i monti e dopo boschi di castagni e
declivi erbosi sono arrivato a Lavagna per ricongiungere i luoghi ai ricordi di
unaltro cantiere.
Cymba : un motosailer dallalberatura generosa
nato aVarazze nella falegnameria degli
Ottonelloparecchi anni prima. Adatto
alla pesca atraino con la canna, uno
scafo blu avvitato su grosse costole di rovere e mogano che segna sempre, anche
dopo infinite mani di stucco. Rimessato in un capannone allArgentario, dopo
aver scorrazzato in tutto il mediterraneo, per limiti di età dellarmatore che
a ottant anni si era ritirato vicino alla figlia nei dintorni di San Remo.
Gagliardamente ci ha raggiunti dopo un viaggio in auto e consegnata la barca,
le attrezzature, le canne ed i mulinelli (che ancora conservo assieme ad una
collezione di carte del mediterraneo, incollate su pergamena, su cui sono
riportati a matita gli appunti delle navigazioni)si è ritirato in una casetta a perpendicolo
sulla costa, di fronte allo scoglio dellArgentarola: sarebbe ripartito, in
auto, per San Remo la mattina dopo.
Noi a
bordo del Cymba, nei giorni successivi, facevamo rotta su Viareggio. Si
terminava il trasferimento per Santo Stefano ormeggiati nel porto di Lavagna.
Passando
per il piazzale ingombro di barche davanti ai capannoni di Sangermani si arriva
sulla strada parallela alla ferrovia nascosta tra una fila di case che separano
Lavagna dal mare. Parabordi e oggetti nautici in disordine sul marciapiede
segnalano, allora come oggi, ilnegozio
dei Castagnino. Si accede allinterno per una vetrina impolverata, arredata con
pezzi dimenticati di attrezzature da pesca e suppellettili.nel piccolo
corridoio attendono pazienti gli avventori: in fila contro Il bancone coperto
di limnoleum e incorniciato dal profilo di alluminio. Quegli spazi angusti sono
il crocevia del mondo, appoggiati al bancone, in attesa del turno si discute si
racconta e i Castagnino ascoltano e si informano sui fatti che accadono fuori.
Una sola
luce al neon illumina il perenne convivio; di fronte al bancone uno scaffale
suddiviso in cassette di ogni forma e taglia scompare nelloscurità del
soffitto, a terra: ancore, catene, scatole di marchingegni meccanici in attesa
dessere ritirati.
Per
quanto mi sforzi a ricordare le fisionomie dei due fratelli riesco solo a
focalizzare il camice blu di uno di loro spinto avanti dalla pancia e le mani
grassottelle intente a sfogliare un registro dalle costole di cartone decorato
di fiori, come quelli che si regalavano alla comunioni: su cui annotava gli
acquisti dei carpentieri divisi per nome di barca.
Il nome della mia non cera e lui scherzava e
rideva per il mio ritorno, come se il riapparire di unavventore sancisse la
loro perpetua esistenza. Sono uscito con due scatole di chiodi di due diverse
lunghezze e le rondelle coniche da ribattere.
La misura
più corta lho presa per scaramanzia: essendo utile soltanto per cucire le
tavole. La misura più lunga sarebbe servita per unire le ordinate al fasciame
in ognuno di quegli spazzi lasciati durante la posa delle tavole.
Ettore ed
il vecchio Pietro non ci sono più: ceravamo conosciuti quando abbiamo messo a
secco il Cymba e trascinatolo allinterno dei loro capannoni.
Pietro
era il discendente diretto dei maestri dascia che fondarono i cantieri
Sangermani, girava nei capannoni, attento alla roba e al lavoro dei carpentieri
che ormai lo consideravano un vecchio patriarca benevolo.
Nel
capannone più grande, sempre in penombra nonostante le grandi vetrate, con il
soffittoin legno e tegole a vista, i carpentieri lavoravano sulle barche tra
macchie di luce fatte da lampade isolate: legate alle incastellature.
Nellaltro capannone scafi rimessati coperti di teli e polvere; a terra le
rotaie, quasi scomparse tra la segatura, indirizzavano verso una gigantesca
sega circolare usata tempo addietro per ridurre in tavole i tronchi.
Sul fondo
del capannone grande unimpalcatura dallaspetto medievale portava allufficio
di Ettore, nipote di Pietro. Da lalto si godeva la vista dei ponti in costruzione
e landirivieni degli operai sulle impalcature infisse nel terrapieno attorno
agli scafi. Ettore aveva sempre vestiti di color marrone; giacche di velluto,
pantaloni di fustagna, golf, sempre di tonalità marrone, a volte chiari a volte
scuri, anche le dita erano marroni: di nicotina.
Quando
arrivavo lo trovavo sempre in mezzo ad un capanello di operai a spiegare, a
mandare avanti il lavoro; schizzava incastri e sagome su pezzi di scafo o sulle
pareti vicino alle barche. Mi trascinava dietro i suoi giri facendomi notare
uninfinità di particolari in costruzione. Nasceva in quei tempi il Rorolima:
un 15mt di Sciarelli che sarebbe terminato con lo scafo in mogano, lucido,
verniciato, e noi a vedere la chiglia ed il dritto di prua in fasce di legno
incollate e piegate a vapore. Fu in quei periodi che pensai seriamente di
costruirmi una barca sufficientemente grande per viaggiare intorno al mondo. Ho
dedicato quellanno a sapere come fare, a chiedere consigli, disegni, valutare
costi e luoghi dove realizzarla e poi assieme alle vicissitudini della vita:Il
mondo reale, senza sogni, mi ha portato altrove.
Passarono
ancora degli anni prima che sostituissi la Star con il Microciallanger ma, ormai il progetto
era sfumato.
Adesso
concepisco solo una barca in funzione della possibilità di navigare e
mantenerla senza che metta a repentaglio le mie possibilità di sopravvivenza.
5,50mt 600Kg, carrello e un prato o una stalla dove rimessarla quando non posso
andare, vetroresina perchè ha bisogno di meno manutenzione e basta uno sprazzo
di sole per scappare e metterla in mare. Troppo lavoro ho fatto per tenere
assieme la vecchia scialuppa a vela del Formica: glorioso veliero in disarmo
nella darsena di Viareggio, concessami grazie allinteressamento del nonno.
Gli scafi
in legno e tavole sono privilegi cari da mantenere o meglio da amare; se poi si
vive lontani dal mare o dai laghi diventano pesanti come le loro zavorre.
Maccorgo
di perdermi in fatti passati senza lurgenza di completare il racconto: sono
divagazioni che esprimono lappagamento daver provato a scrivere di una cosa
che mi piace. Accade così anche alla costruzione del dinghy che rallenta ogni
giorno di più; leuforia dellinizio è entrata dentro di me e galleggia nella
memoria assieme alle immagini dei giorni impiegati a costruire lo scafo e
provoca un appagamento che sopisce lentamente gli stimoli necessari a
proseguire.
UNALTRA STORIA
Aspettando di riprendere la costruzione del Dinghy
Ormai lestate è finita, i campi rilasciano lodore
dellultimo fieno tagliato, il cielo ancora azzurro si carica di quellumidità
padana che in questi momenti di calura avvolge tutte le cose.
La strada per il lavoro è affollata di automobili ed in
lontananza, dove si immaginano essere i monti, un colore violetto di smog
delimita linizio della città; nella mente girano i pensieri, si dibattono
senza soluzione come la pellicola sulla bobina di un film ormai finito: un
rumore sordo accompagnato dal ticchettio dellultimo fotogramma che sbatte.
Batte così anche dentro di me lidea di riprovarci ancora:
un solo racconto è poco, sa di footing fatto per dimagrire, uno slancio che
indurisce i muscoli e fa desistere dal continuare. Difficile dare a questi
racconti lufficialità della scrittura: la cristallizzazione di un pensiero o
di unemozione che avviene su un foglio stampato fatta in età avanzata porta il
rancore del tempo perso e la sensazione di vacuità; liberarsi da dogmi e
pregiudizi, credere che almeno il cervello viva sempre gli stessi entusiasmi
ignaro di qualsiasi sclerosi sembra impossibile.
Stessa sensazione che mi prende, quando lavoro attorno alla
barca; mi perdo a pensare le manovre e allequipaggio intento a mantenere la
direzione: contrastando la spinta del vento con il peso del corpo, cazzando la
scotta, forzando il boma con il vang e godo dellimmagine di mille gocce
dacqua che si alzano con violenza e ti colpiscono quando il mascone urta
londa.
La barca, che ha preso inaspettatamente il posto del Dinghy
è un fireball strappato ad una vecchiaia meritata e ormai in attesa di
dissolversi nel nulla. Mania questa degli uomini di salvare ad ogni costo
quello che naturalmente sta finendo, un accanimento terapeutico radicato dentro
loro stessi lontano dai tentativi ontologici apparsi sui giornali a difesa
della vita: è il talismano per la vita eterna, fatica inutile che ci comprende
tutti appena avvertiamo lodore del tempo passato.
Barca appena incollata da carteggiare, stuccare e verniciare
che si è interposta con la promessa di essere pronta presto: allinizio
dellestate. Complice una rinascita tardiva di sfida figlia dei ricordi di
vecchie regate mai completamente sopiti. Nata a maggio sui tavoli abbandonati
del bar ancora chiuso in riva al Fiume Magra: dopo aver conosciuto un tipo
felice del suo nuovo Contender .
Contender contro Fireball.
Via lo spi si deve navigare uno contro uno; purtroppo
passera tutta lestate per recuperare lo scafo e a ricostruire il resto ormai
distrutto di questo Fireball abbandonato nella cascina di amici scoperti un
giorno scorrendo le pagine di Internet : la sfida è rimandata allanno
prossimo. (questo 2009, il Contender è ancora là e tra poco apparirà anche il
tipo dellanno scorso, a maggio ci rivedremo e vinca il migliore)
Di proposito preferisco il termine scorrerein sostituzione
del più usatonavigare perché per
esercitare questa nobile arte occorre qualcosa che messo in acqua galleggi e
possa trasportarti da qualche parte, che io sappia i computer, anche i più
moderni, se messi in acqua vanno a fondo e se poi li ripeschi non funzionano
più.
Tra le pagine del
sito spunta il numero del cellulare di Giovanni, qualche tentativo ed esce
dalla cornetta una voce schietta che non ha voglia di raccontare o farsi
raccontare storie: cerca subito la tua partecipazione. Poco a poco nasce un
sodalizio a senso unico: lui faticosamente mantiene in vita lidea della vela
come divulgazione di unesperienza collettiva e introduzione alluso delle
barche, ed io qualche volta lo aiuto e partecipo alle riunioni di un gruppo di
amici così disomogeneo nellinteresse nautico quanto pronto a divertirsi alla
prima occasione offerta nei programmi di Giovanni; spero di incontrare chissà
chi per avere più voglia di andare per mare.
Adesso andiamo ad Iseo.
Ecco è bastato
iniziare e la scrittura diventa più fluida, lascia i timori altrove, resta solo
il dubbio se abbia senso scrivere una storia così, dopo tutto si scrive perché
altri leggano quello che hai fatto; riunire in tante righe parole alte uguali
con la stessa densità cromatica non ha molto significato dal punto di vista estetico:
ha valore solo linteresse per contenuto, ed il panico per il giudizio resta.
Le barche di Giovanni quando non navigano sono rimessate a
Pioltello: comune in periferia di Milano espressione multietnica dellumanità,
dove gli Indiani giocano a Krichet nello stadio comunale assistendo alle
partite in abiti tradizionali.
Venerdì 12 settembre data del nostro fine settimana sul lago
dIseo,lalba è più scura, lumidità e al calura si sono trasformate in nubi
lattiginose che coprono il cielo, nel pomeriggio inizia a piovere. La cascina
dove sono rimessate le barche è un rudere circondato da alcune
abitazioni:residuo dellintero complesso, Giovanni ha lavorato ancora dopo
lultimo sabato passato assieme perché questa sua regata sia possibile ed io
nonostante abbia cercato di organizzarmi al meglio sono comunque arrivato in
ritardo, appena il tempo di salutare gli altri che girano affaccendati,
attaccare il carrello con le barche: ancora infilato tra le colonne di mattoni
di un portico ormai inesistente; mettermi in colonna e attendere la partenza.
Cè Paola: occhi di
cristallo che restano impressi nella mente come il mare delle Eolie; poi
Adriano che ha perso gli ultimi fine settimana a piantare rivetti e montare
riloga sugli alberi (così chiama lui i carrelli dei boma); Laura con il sacro
fuoco dellinsegnamento che prilla, Oriano e figli: scappati dal bar, dalla
casa, dalle ferrovie italiane; Paolo perché la vela è uno sport più
intelligente; Angelo e consorte che ci seguono perché la vela non è come lwinserf
e lo sci.
Con laggiunta degli ultimi venuti che non conosco, la
colonna diventa carovana e parte: un ponte, un pezzo di tangenziale, tutti uno
dietro laltro. Lautunno è ovunque, ogni accenno destate è solo un ricordo
nella mente, la strada adesso attraversa i campi di granturco: vuoti, color
ocra, rigati dal verde dei fossi; rotonde su rotonde e i monti si avvicinano:
alti sopra la boscaglia che nasconde il lago. Prima di toccare le sponde
passiamo per la reception del campeggio, prenotiamo boe e bungalow,il vento è
forte, Mario che è arrivato in camper ed ha visto: prima il sole della mattina
e dopo il temporale pomeridiano, misura lintensità del vento, 18/22nodi; nel
regolamento che tanto affannosamente quanto svogliatamente Laura e Giovanni cercano
di redigere andrebbero aggiunte le condizioni meteo per navigare.
Un prato dove restano ancora alcune sedie a sdraio ed un
pezzetto di sabbia messa li per fare castelli delimitano la sponda del lago
costruita allinterno del campeggio, lo scivolo per le barche scende verso la
riva tra il prato e la sabbia uscendo sullacqua bassa attraverso lapertura
nel muretto di cinta: poco più alto di una persona; il bagnasciuga è unammasso
dalghe strappate dal maltempo.
Stacchiamo i carrelli dalle macchine: prima di sera vogliamo
attrezzare le barche. Sono tutte derive un pò avanti negli anni
e scombinate tra loro: la più grande e un Flaying-Dutchman,
vecchia signora nata dalla penna dellolandese Conrad Glucher nel 1956 e
colorata di giallo e celeste da Giovanni, scafo che con i suoi 6mt. di
lunghezza scivola sullacqua sollevando la bella prua arrotondata;baglio grande: 1,70mt. di larghezza massima,
pozzetto largo che termina a poppa nel ponte dove è attaccato il timone; a
guardarla esprime il senso della potenza che i suoi 30mq. di vela le danno.
Purtroppo la nostra signora ha unalbero più piccolo ed una vela arcobaleno
nata da esigenze di economia e facilità di navigazione ma dicono sia ancora
affascinante. Le più numerose sono i 4-70 (non mene vogliano gli addetti ma uso
il trattino per facilitare la lettura ai neofiti), ne abbiamo tre, vantano
ancora pronipoti tra le barche dellultima olimpiade ed un 4° posto che
meritava medaglie nel doppio maschile. Carena a coppa che schizza fuori
dallacqua, francese come la marca del miglior champagne, Andrè Cornu lha
costruita nel 1963: 4,70mt.e 20mq tra randa fiocco e spi di pura adrenalina, se
non hai paura di scuffiare. Le nostre un pò vecchiotte daranno senzaltro
grandi emozioni quando riusciremo a provarle. Uso questi condizionali perché le
nostre barche arrivano da sentimenti viscerali: viste abbandonate da qualche
parte e, come dicevo pocanzi, non ci si è rassegnati a tirar dritto; così Paola
ha trovato il suo 4-70 sulla spiaggia di Marotta, vicino ad Ancona, mezza
insabbiata, con le vele ancora montate. Laltra labbiamo prelevata
allidroscalo, piena dacqua, abbandonata sulla banchina dei canottieri.
Giovanni ha subito deciso che dovevano avere colori nuovi: per scaramanzia alla
cattiva fine a cui erano destinati. Il terzo 4-70 non so da quale porto arrivi,
è uno dei primi a far parte della flotta di GIARAS COUP in Pioltello e come
tale ha subito gli esperimenti di Giovanni che ha unidea sua particolare degli
spazi a bordo delle barche. Così è apparso a poppa un gavone per lancora e il
gavone di prua è diventato un comodo punto di stivaggio per mille cose che
pesano.
Giovanni oltre ad
essere la parte più fattiva della flotta è anche allenatore e corridore di
corsa di fondo; un giorno, per scherzo vorrei andare ai suoi allenamenti con
gli scarponi da roccia: così, per sentire cosa dice.
Altra interpretazione
nautica di Giovanni si vede nella rinascita di un vecchio Finn.
Una precisazione a questo punto è necessaria: le barche in
italiano sono sostantivi femminili eppure qualche vota scappa il maschile e
badate bene non è per comodità di nome ma assume proprio laspetto del sesso,
chi pensa in questo modo vede proprio così: sono i più matti quelli che fanno
del connubio uomo-barca un fatto biologico. La barca manifesta la sua vitalità
assecondandoli allorza, producendo rumori di strutture che si muovono sotto lo
sforzo e diventano simili a frasi inneggiando a continuare o a risparmiare
sforzi; pari ad un animale la sentono correre sullonda: ascoltando il rumore
dellacqua contro lo scafo, trattengono il respiro e la incitano quando londa
che arriva pare troppo grande per lei. Al suo interno ritrovano lessenzialità
delle cose della vita.
Cosile barche
diventavo vecchi amici o dolci amanti: basta la desinenza finale a stabilire il
sesso di questi strani esseri. Il Finn è maschio nel nome: diminutivo di
Finlandia, terra di origine del suo progettista, Riciard Sarby, ma rimane
maschio nelle strutture e nella austerità della conduzione, è una barca per singoli
di carattere: 10 mtq di randa sono duri da governare, occorre anche del peso
fisico per confrontarsi con essa. Ne sa qualcosa Elvstrom vincitore di tutto
quello che si poteva vincere a velae
che alla soglia dei 60 anni, con il suo catamarano, si permetteva un 4°posto
alle olimpiadi assieme alla figlia; complice del cattivo piazzamento il vento
forte che lha costretto al trapezio.Trapezio e timone sono stati troppo anche
per lui; il primo In classifica così commentava il piazzamento: battere Elvstrom
è senzaltro un fatto speciale ma lui ha 60 anni ed io 27.
Ne sanno qualcosa anche De Angelis: il barone di Luna Rossa
e Rassel Cutts di Neuw Ziland che si erano già sfidati sui Finn.
Mancava lalbero ed è nato un nuovo armamento: randa e
fiocco così il Finn diventa Zinn, come ama chiamarlo Giovanni, dicono che va
comunque bene. Ultimo e senza grande storia negli alamari di famiglia un
Flaying-Junior arrivato a Pioltello assieme al Finn; é la barca gregario per
antonomasia, il progettista: Ulike Wan Essen ha gia progettato assieme a Conrad
il più famoso F.D. e nello stesso anno decide di realizzare una barca per
avvicinare i più giovani alla vela,questa idea condizionerà tutta la vita dei
F.J.: tante regate, tante energie per poi andare su una barca diversa. Comunque
anche il F.J. resta una barca piacevole da portare, con grinta da vendere.
Altra prerogativa di
questo gruppo è organizzare una logistica a terra di tutto rispetto, così dopo
la fatica di mettere in condizione le barche di navigare ecco la tavolata della
cena.
Sono arrivato ad un bivio,un intoppo che dovevo aspettarmi,
la cena: nel comportamento collettivo del gruppo è laspetto sociale più
significativo ed il bivio, letterario sintende, è saltare ogni tentativo di
racconto o ficcarcisi dentro. La consapevolezza di non riuscire a rendere
realistica la vicenda e quindi evitarla cozzano con limportanza nel mio modo
di vivere un momento simile, fatto per liberare i propri sentimenti e vivere
quegli degli altri: un microcosmo legato dal cibo, manifestazione comune di
appartenenza ad ununica specie.
Esistono criteri di espressione che hanno la stessa radice:
la musica rincorre le percezioni umane attraverso i suoni, le pittura ricerca
lessenza delle cose attraverso la luce rimandata dal pittore allosservatore
nelle riflessioni della materia lasciata sulla tela; la scultura è plastica e
tattile, immagini e volume si ripetono e si modificano nelleterna lotta tra lo
scultore ed il mondo. Il cibo, elemento naturale di cui ha bisogno lessere vivente,
diventa: con luso del cervello che ci è proprio, espressione del nostro essere
e labbinamento degli aromi nelluso voluto delle carini, delle verdure, delle
spezie, delle bevande è sinapsi tra papille gustative e neuroni. Esprimersi
attraverso la costruzione di una cosa da mangiare è cercare gli individui
circostanti; come la scrittura, è confronto e giudizio.
Le lampade a gabbietta usate dai meccanici in officina sono
parte del corredo necessario portato per la cena: attaccate alla grondaia dei
bungalow rompono limbrunire della sera, sui tavoli verdi di plastica che
arredano il portico sono stese tovaglie improvvisate, posati piatti di plastica
e bicchieri ancorati con le forchette ed i coltelli per resistere al vento che
tarda a diminuire.
Alcuni arrivano dalla
doccia in accappatoio, tardano a cambiarsi, quando si siedono la pasta ha gia
sostituito le posate dancoraggio nei piatti. Mario e Anna arrivano dal camper,
Adriano Oriano e gli altri sono già seduti, il vociare indistinto accompagna le
posate che consumano pasta insalata formaggi e torte, la conta delle bottiglie
di vino è ancora largomento di chiusura per ogni cena; adesso il convivio si
divide negli argomenti più disparati, le persone si spostano, completano i
convenevoli: sono arrivate con il treno Cristina e Valeria, Luna per restare
un pi con se stessa, laltra per uscire in barca e poi andare a correre
unagara imprecisata che interessa solo
a lei e a Giovanni.
Angelo conduce la litania delle disapprovazioni: contro il
tempo, la crisi economica, il disinteresse dei giovani, i fatti della storia
che adesso ci perseguitano con le loro conseguenze. Sfuggire ad Angelo è
difficile, a turnoci caschiamo tutti:
forniamo così ricette di statisti e sociologi, ripeschiamo nella memoria fatti
inconfutabili. Laura inizia il ruolo di comandante: giubbini per tutti se il
tempo resta così, certo commenta Giovanni, domani vediamo. Diventano argomento
della serata anche le ciglia folte di Mario che assieme alla barba e alla voce
pacata e compita: lo trasformano in un nostromo saggio daltri tempi. Per
qualche attimo Paolo, lultimo arrivato nella compagnia, riunisce gli interessi
del gruppo: colpisce di lui la dedizione guari ascetica verso il suo lavoro:
socio venditoree imprenditore è
arrivato a Pioltello con lanuova
sistemazionedi un capannone necessario
ad ampliare la produzione. Paolo, quarantenne rampante, tifoso milanista è in
cerca di compagnie che riempiano di spessore sportivo il tempo libero, una cosa
che noi non possiamo dargli: gente in vacanza con figlie amici al seguito, questo è il vero spirito
del gruppo, le regate e le uscite in barca sono il pretesto per stare assieme,
lontani dalla quotidianità della vita.
Scende la notte e la luna ci inganna con promesse di bel
tempo, poi le nuvole e la pioggia si uniformano ai bollettini regionali.
Mannaggia, Laltro anno era caldo e senza vento, adesso ho
portato solo magliette e costumi ed una sola cerata.
La mattina è fredda ed il vento soffia forte, le nuvole
basse sovrastano di poco MontIsola; piccole onde si rompono sullammasso di
alghe alluscita del bagniasciuga. Le barche sono ormeggiate alle boe, per
raggiugerle gli equipaggi usano canottini gialli, blu e verdi: di quelli
comperati ai grandi magazzini. Limpresa di remare contro vento, un pò persi
per il freddo iniziale riesce e tutti salgono a bordo. Con il figlio più grande
di Oriamo parto anchio: usiamo il F.J. che è rimasto a terra. Issate le vele
lo spingiamo oltre il muro di alghe, lacqua del lago sembra fredda ma ci si
abitua subito, lui è il primo a salire: governa il timone, la barca inizia
scarricciare, salgo rotolando sulla fiancata, ancora un pò di scarroccio poi la
deriva va giù e si parte; abbiamo con noi la boa di virata da mettere nel punto
più a largo. Il vento ci investe e iniziamo a correre: lasciamo una scia grande
come quella di un motoscafo, la prua fende lacqua alzando due baffi di
schiuma, saltiamo letteralmente sopra le piccole onde. Le vele sventano e
riprendono il vento in uno zig-zag euforico, un bordo a largo,laltro verso
terra unaltro ancora a largo siamo nel punto dove cè da mollare la boa: un
bidone di plastica colorato finisce in acqua seguito dalla sagola e dallancora;
speriamo che sia sufficente la lunghezza della sagola per ancorare il bidone.
Sulla barca senza bidone Claudo si porta avanti e migliora lassetto, partiamo
in una planata ,spruzzi dacqua cinvestono ad ogni onda; la ruggine che
avevamo dentro dopo tanto tempo lontani dalle derive si è dissolta, ci
divertiamo, solo un pò dattenzione alle attrezzature e alle vele non troppo
nuove: meglio risparmiare sforzi per evitare di rompere qualcosa. Il Vento
arriva a raffiche, seguito da scrosci dacqua, siamo in direzione degli altri
che non hanno ancora messo a riva le vele, torniamo a largo verso la boa:
ancora onde e scrosci dacqua il lago si sta coprendo dunico fronte di
maltempo, attorno le cose sono inghiottite da una massa lattiginosa che avanza,
gli scrosci dacqua si diffondono dappertutto: grosse gocce, fitte, raggiungono
anche gli altri; la navigazione da li a poco finisce, rientriamo. A terra i
canotti sono ammassati sullerba, il F.J. torna ad occupare il posto delle
sdraio, la gente vaga con lombrello e rassettatende e verande in vista dellinverno. La sera attrezziamo i tavoli
negli spazi asciutti: dentro le stanze e sotto il porticato.
Rincorse dietro alle disapprovazioni di Angelo; erudizioni
di regolamenti velici; gran premio di moto; conta delle ultime provviste
rimaste; noia delle ragazzine arrivate assieme al gruppo di persone che non
conoscevo: concludono la giornata.
Con Giovanni e Paola sono andato a controllare unultima
volta le barche in acqua: abbiamo usato uno di quei canottini del supermercato;
il vento soffia ancora e il canotto si spalma sulle onde come un canovaccio,
alla fine si stappa la camera daria e torniamo allagati. Piove tutta la notte
ed al mattino seguente non cè attività di alcun genere; più tardi, al mitigare
della pioggia inizia il brulicare dei campeggiatori: rimuvono i tavolati dalle
verande insaccano le biciclette i tavoli e le sdraio, riempiono le macchine di
oggetti da portare via. I componeti del gruppo, ormai tutti svegli girano
sfaccendati: di uscire sul lago non si parla; sotto una pioggia leggiera
riportiamo le barche a terra le smontiamo e prepariamo i carrelli per andare
via.
A Pioltello non piove ed ironia della sorte, uno scampolo di
sole ci asciuga; il gruppo, staccati i carrelli e spinti negli spazi lasciati
vuoti alla partenza cerca di dileguarsi.
Giovanni conosce bene questi momenti e sfrutta il più
possibile gli altri: per smontare e rimessare le cose a portata di mano.
Questo è il limite vero del gruppo: non esiste una capacità
di condividere i tempi che intervallano le uscite, tutti scompaiono assorbiti
dalle singole abitudini che diventano alloccorrenza necessità inderogabili;
alle riunioni sempre più sporadiche partecipazioni: Giovanni, Oriano, qualche
volta Laura e Valeria; partecipanti straordinari Gianni io Mario e Adriano. Gli
altri seguono leggendo e commentando poco quello che è riportato su internet
nel bolg. A primavera il risveglio e se qualcuno non ci sarà più forse
qualcunaltro arriverà seguendo le indicazioni di amici o scoprendo su internet
la loro esistenza. Unesistenza che si perpetua da più di dieci anni ma che
ormai sembra accusare lo scorrere del tempo.
10/03/2009 Franco Favilla francofavilla@libero.it
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