ACQUA E LENGO
Adesso che le tavole sono state tagliate e sagomate vanno piegate sulle forme dellinvaso.
La cascina di Gianni , oltre al corpo centrale con le case ed il portico comprende anche una stalla grande ed una piccola, vecchia come
le case. Queste due stalle sono messe ortogonalmente alla parte centrale, una sulla destra e laltra sulla sinistra e costeggiano un
piccolo corso dacqua sorgiva che quà nel Cremasco chiamano Roggia. Lacqua è limpida e bassa, il fondo ghiaioso ed è contornata da
sponde erbose ombreggiate da grosse piante di rubinia. Si accede al livello dellacqua grazie a scalini ricavati con la vanga sulla
sponda, a ridosso di un piccolo ponte. In questacqua ho immerso a più riprese le tavole di mogano per renderle duttili alla piega.
Loperazione di inumidire il legno favorendone la piegatura è una cosa che tutti conoscono ma soltanto pochi hanno visto eseguire, così
tra scetticismo e curiosità Gianni e Giulio hanno atteso i primi risultati.
Ormai le giornate sono corte davvero, il buio arriva con grande anticipo su le ore destinate al procedere dei lavori in cascina;
lanticipazione della cena si tramuta, alla fine di ogni attività, in connubio di incontri conviviali e lente prosecuzioni nella costruzione della
barca. In cucina di Gianni si rovescia la polenta che Giuliano, altro abituè di queste parti, ha governato nel paiolo di rame, con un
piccolo remo di bratto.Il vapore e lodore dei tordi a cuocere sulla stufa a legna dal piano di ghisa dove era conficcato il paiolo della
polenta, riempiono la stanza in penombra. Alla tavola: viva per i nostri maneggi e per la luce che la sovrasta, riprendono i racconti ed i
commenti sui fatti della giornata:
--e lalbero dovè... al centro della barca?un particolare che non avevo ancora definito con Gianni. E per colpa dei primi disegni fatti
alle scuole elementari che nasce lidea comune di sistemare gli alberi delle vele al centro delle barche.
--no! È ritto sulla prua, a circa 30cm dopo linizio
--E figlio!! (tipica esclamazione di Gianni) come fa ad andare, mettilo più al centro
--Potrei ma occorre cambiare la forma della vela e poi mi piace così, come ha pensato quello che lha disegnata
--ma laria che spinge......
--Laria non spinge soltanto, a volte tira....... Ho il pallino della storia in mano e non lo lascio scappare: altrimenti ci si perde in chissà
quali varianti sulle spinte del vento.
E loccasine giusta per finire lannoso discorso su come fanno a muoversi le barche a vela:
--senzaltro vi sara capitato di stendere il braccio fuori dal finestrino dellautomobile mentre va...-- Magari non di recente, ma
sicuramente qualche volta.......aggiungo vista lepressione di disagio per ricordare e le fronti aggrottate.
....e quando è disteso, con il palmo della mano rivolto verso il basso, ruotare la mano ed avvertire una spinta che che vuole
sollevarla... accompagno le parole distendedo il braccio e ruotando lentamente la mano, fremandonmi ad un angolo della rotazione
dove in genere si percepisce la spinta, prima che tutto si trasformi in resistenza allavanzamento.
La spinta è data dalla diversa densità dellaria che scorre sul dorso e sul palmo della mano. Sul dorso le particelle daria si addensano
formando un percorso curvilineo; allinterno di questo percorso: le particelle più vicine alla mano si trovano costrette a rarefarsi per
passare, mentre sul palmo laria scorre senza intoppi....-- Così dicendo disegno la sagoma della mano a prua di una piccola barca. ---
La rarefazione delle particelle ha prodotto una riduzione di pressione sulla parte superiore della mano che viane sospinta dallaria che
passa sul palmo. Giuliano, come al solito preferisce ascoltare che perdersi i lunghi commenti e precisa:
si sposta ma non va avanti ! ---
--E qui che entra in gioco la forma dello scafo,la deriva , il timone...ed aggiungo i particolari al disegno--...lacqua scorrendo attorno
alla deriva della barca spostata dalla spinta sulla vela...---
---Figlio ma la deriva non serve per contrappeso tra quello che è fuori dallacqua e quello che è dentro?
E Gianni che riemerge dalle varianti sulla forma della mano, le ali i profili e dal fatto che a far andare laereo è lelica che tira
--...si anche.... però manovrando il timone la deriva viene a trovarsi nella stessa condizione che abbiamo detto per la mano ed inizia a
esercitare una spinta che è più corretto chiamare portanza...--- ultimo pezzo aggiunto ,il timone
---.... larte del navigare stà nel manovrare la barca, spostando la vela con le scotte e indirizzando lo
scafo-deriva con il timone, finche le due spinte agiscano di comune accordo--.
Si torna a tordi , al vino buono, al caffe, alla grappa; mi viene da pensare che esistono anche, il baricentro, il parallelogramma delle
forze, il fatto che la bisettrice della barca taglia la retta della direzione di navigazione per un angolo pari allangolo di portanza della
deriva; ma queste sono cose che stanno scritte sui libri, per la nostra serata è sufficente quello che abbiamo detto.
Altre volte in modo piu repentino e discreto passo dalla Roggia e senza fermarmi vado nella casa dovè la barca; ed è come entrare in
un calendoscopio di fatti già vissuti: di esperienze trasmesse da uomini antici rinate nei legni che lentamente e con cautela piego sulle
sagome dello scafo. Cosha di diverso il mio procerede dal lavoro dei calafati della nave di Cheope o dai greci nelle navi raccontate da
Omero? Non sarà certo luso del potente fon elettrico in vece delle torce o delle lanterne ad olio a rendere queste pieghe diverse. Vivo
una trasfigurazione senza tempo, la manualità si riempie di gesti arcaici, rituali propiziatori di cui è piena la storia del mondo. I legni
sono ancora gli stessi :Lolmo e la quercia. fasciame cucito..... I gerci e i romani costruivano i gli scafi assiemando le tavole del
fasciame in modo da forarle entrambi e successivamente le cucivano con corde composte da trefoli che successivamente bloccavano
piantando cavicchi di tiglio nei fori. Probabilmente anche loro iniziavano la costruzione con lo scafo rovesciato ed una volta terminata
questa fase lo rovesciavano e legavano i madrierei alle tavole ed alla chiglia. Sorprendenti anche i numeri: nella stragrande
maggioranza dei casi le tavole erano 12 per parte, la distanza dei centri di ogni foro era di 9cm (10cm sul dinghy).
12 erano anche le tavole delle navi Vichinghe il fasciame decisamente sovrapposto come quello del dighy, la parte immersa era legata
e stagnata con i cavicchi, rendendo più elstico lo scafo sotto gli sforzi dun mare inclemente come quello nordico (onde anche di 15
metri , correnti contrarie superiori ad 8 nodi, raffiche di vento di oltre 100km/h per scafi lunghi più di 15mt larghi 5 6mt dai corsi di
fasciame interi che salivano al cielo nella caratteristica prua sovastata dalla testa di drago).
La chiodatura in rame del dighy prende uso attorno al XVIII secolo ed è costituita da chiodi di sezione generalmente quadra che
vengono infissi tra le due tavole sovrapposte dopo aver praticato un foro di misura. Successivamente, servendosi di un bulino forato al
centro (capace di far passare il chiodo sporgente) con impronta conica, si spingeva ua rodella di rame sul chiodo tenuto fermo da una
massa capace di assorbire il contracolpo del martello; la parte del chiodo sporgente veniva tagliata e ribattuta sopra la rondella sino a
formare una sorta di rivetto.
Giorgio mha fornito di uno strano attrezzo che ho duplicato più volte: è formato da due assicelle di legno elastico più lunghe della
larghezza di una tavola, separate da un doppio spessore di legno ricavato dagli scarti della stessa ed avvitati tutti assieme. Con questi
attrezzi è possibile tenere unite le tavole del fasciame semplicemete infilandole tra di esse; a prua ed a poppa le tavole vengono
avvitate con viti di ottone sul dritto e sullo specchio dopo essere state piallate e avviate con un piccolo gradino. Così prese queste
tavole ricurve iniziavo ad appoggiarle al centro, le fermavo con le mollette di Giorgio e proseguivo piegandole e assestandole poco alla
volta; fino a che le estremita ricurve, come una mezzaluna, sormontavano la tavola precedente. Occorrevano anche parecchi morsetti
per esere sicuri che non si muovessero quando praticavo i fori con il trapano e passavo al fissaggio con i chiodi di rame: due fori vicini
ed uno saltato per fissare in seguito lordinata.
Per tutto linverno, a periodi alterni, non sepre produttivi: ho bagnato, scaldato, piegato ed inchiodato le tavole e allarrivo della
primavera il guscio era pronto per essere voltato.