NUMERO: 1836311903 | Lug - Dic 2012
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Racconti

marinai di terraferma

Prendo in prestito l'ossimoro coniato da Francesco Lenzi per raccontare una storia realmente accaduta a dimostrazione della veridicità del detto.

 

Nell'estate del '44 truppe tedesche in ritirata dal fronte italiano occuparono in massa le vaste terre agricole della bassa padana.

Da sempre quel territorio, compreso nel triangolo immaginario che comprende Bologna, Ferrara e Ravenna è stato terra di frontiera e di vaste distese d'acqua.

In quel paesaggio reso lunare da nebbie e brine invernali ancora oggi si stagliano grandi casolari abbandonati. A quel tempo erano casa e azienda per le tante famiglie che vi abitavano.

L’arrivo dei soldati mise in serio pericolo la già precaria vita che si svolgeva. La maggior parte degli uomini erano in guerra, lontano, e la fatica di sopravvivere al quotidiano era stata demandata alle donne ai vecchie ed ai bambini.

 

I tedeschi rastrellavano e requisivano tutto. Per sopravvivenza le persone del luogo decisero un piano folle. Allagare più terre possibili in modo da rendere la vita impossibile agli invasori.

Così fu fatto. In più notti furono rotti tutti gli argini possibili e poco a poco migliaia di ettari diventarono un unico mare.

Prima di attuare il piano furono decisi quali casolari sarebbero stati isolati e in essi stivate provviste per la sopravvivenza. Inoltre si costruirono alla bene e meglio barche, per muoversi di notte e rifornire le zone più isolate.

Così da un giorno all’altro in molti, da agricoltori terricoli si trasformarono in marinai di terraferma. In gioco c’era la propria vita.

Si spostavano solo di notte e non sempre riuscivano ad arrivare a mattina.

Le barche ospitavano provviste, bambini ammalati, dispacci importanti.

I tedeschi furono colti alla sprovvista e impreparati ad affrontare così vaste distese d’acqua.

Non durò molto per fortuna, gli alleati sfondarono la linea sull’appennino e costrinsero la fuga repentina degli invasori.

 

* * *

 

Il casolare dei miei nonni non fu raggiunto dalle acque ma da una pattuglia tedesca.

Erano in sei o sette e arrivarono a metà mattina. Per primo dissero che la casa era requisita e che gli attuali occupanti si potevano accomodare nella stalla con i pochi animali rimasti. Dissero che avevano fame e che mia nonna doveva cucinare qualcosa da mangiare. Chiesero cosa c’era da mangiare e mia nonna rispose patate. Nel dirlo guardò di sottecchi la madia che conteneva tutte le provviste rimaste in casa sperando che a nessuno venisse in mente di aprire il coperchio rivelandone il contenuto.

Nei pochi giorni di occupazione di casa mia, gli occupanti non fecero altro che mangiare patate.

Mia nonna, ogni giorno quando se ne uscivano per rastrellamenti spostava il contenuto della madia da un punto all’altro della casa. Se l’avessero scoperta l’avrebbero fucilata seduta stante.

Una sera, quando fuori era già buio e i soldati a tavola, mia nonna sentì in anticipo l’arrivo di un aereo. D’istinto spense la luce e credendo fosse un’imboscata i soldati scattarono in piedi e le puntarono una pistola alla tempia. Per sua fortuna l’aereo alleato non cambiò rotta e passo proprio sopra casa senza sganciare nessuna bomba intelligente.

 

Il giorno che se ne andarono, minarono tutti i ponti rimasti per coprirsi la ritirata.

Le barche così servirono per passare da una sponda all’altra dei fiumi, fintanto che l’arrivo degli americani coprì la lacuna edificando migliaia di ponti in ferro.

Ancora oggi alcuni assolvono a tale compito in memoria di quel periodo.



11/12/2008 Gabriele Mantovani
gabriele.mantovani@fastwebnet.it

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