NUMERO: 1836311903 | Lug - Dic 2012
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Racconti

farsi la barca

inizio un racconto" se riesco a spedirlo" 

Capita a tutti quelli che vanno per mare o sui laghi di volersi fare una barca. Il  “ fare “ questa volta assume una componente fisica di partecipazione alle scelta delle forme, delle dimensioni e si spinge fino alla realizzazione ed al varo.

Lasciando perdere quelli che riescono ad uscire indenni da queste idee e continuano ad usare quello che anno o si limitano a scegliere ciò che offre il mercato condizionati solo dalla grandezza delle proprie tasche. Restano ancora due tipologie che per sommi capi comprendono le infinite personalizzazioni nate nelle menti dei futuri possessori di una nuova barca. I personaggi di una di queste categorie girano per anni nei padiglioni delle fiere nautiche, raccolgono tutti i depliant, conoscono gli artigiani che  espongono e che vanno a trovare ogni anno; poi un giorno questi individui passano dai saloni al cantiere ed iniziano la loro avventura. All’altra categoria appartengono coloro che misurano quanto è grande il loro garage o il salotto e con queste misure scelgono il tipo di barca. Io appartengo a questa categoria.

La barca che ho deciso di fare non sarà l’unica che avrò a disposizione: esiste già il Microchallange per uscire in mare,

ma resta comunque una barca speciale.

La costruzione sarà un viaggio dove rivivono attimi lontani dell’infanzia e dell’adolescenza, quando a Viareggio esistevano baracche di legno colorate di pittura verde simile alle antivegetative degli scafi. Avevano le  porte segnate da successivi allargamenti necessari per far passare scafi sempre più ingombranti ed erano affiancate da piccole abitazioni delimitate lungo la strada da pini bassi, fiancheggiate da orti: dove tra piante di vite con le foglie sempre un po’ gialle stavano file di panni stesi. Varcando con i ricordi quelle porte sento il fondo in terra battuta e nella penombra della memoria escono: forme di  banchi con grandi morse di legno e le scasse per fermare le tavole da piallare; marmotte, scalpelli, magli da calafato, asce, sponderuole, pialle grandi: alte come un bambino; sagome di timoni e centine rimessate lungo le pareti, appese con cavicchi e chiodi strato su strato in un grande affresco che racconta lavori passati. In alto sotto il soffitto i remi sono infilati assieme alle assi lunghe nelle capriate a forma di tringolo isoscele. Un mondo ormai scomparso, modificato dal giusto benessere che rende più facile la vita. Le barche che si facevano in quelle baracche erano gozzi da lavoro con costole preistoriche sanguinanti di minio o scafi più leggeri dal fasciame a clinker le cui tavole venivano piegate a caldo su sagome conficcate nella terra battuta a mo di scalo rovesciato. I legni che si usavano erano l’olmo la quercia il rovere e il fasciame era in pino marittimo che da noi si chiama “Piella”; di rado venivano impiegati il mogano ed il teak.

Compagna di questa navigazione psichedelica è una barca a vela di 12 piedi (circa 4metri) nata dalla mente di Gorge Cockshott (Lancashire-Inghilterra) nel 1913 per partecipare ad un concorso indetto dalla “Boat Racing Association” in cera di un dinghy 12 piedi fuori tutto da utilizzare nelle regate di circolo.

La definizione dinghy in per i Britannici e gli Americani identificava un barchino di supporto ai grandi yacht che nascevano: era  costruito con fasciame sovrapposto e cucito con chiodi di rame ribattuti (clinker) caratterizzato da buona stabilita, di struttura leggera per essere issato facilmente a bordo.

Il progetto ebbe subito grande successo, provvisto di deriva armato con una randa a gunter (infierita sul picco per il quarto dell’estensione e issata su un albero corto) di 100 piedi q. (circa 9,30mq) si prestava ad essere utilizzato sia per regata che canottaggio (è dotato di scalmiera poggia piedi e remi). Venne prescelto nel 1920 dal Comitato Olimpico Internazionale come imbarcazione per singolo alle olimpiadi di Ostenda. Nel 1935 nacque la classe a restrizione dove vennero definite misure e pesi e divenne “Dinghy 12 piedi stazza internazionale”: come sta scritto sul regolamento di stazza regalatomi da un amico assieme ai disegni dei piani di costruzione datati 1951: ricordi del padre ormai scomparso che li costruiva in Liguria.

                                 

                           Inizia la costruzione

Il garage che avevo pensato come cantiere è ancora privo di porta e siamo all’inizio della brutta stagione,ho impiegato  l’attesa ricavando le sagome di cartone in grandezza naturale delle parti disegnate in scala 1 a10 sui piani di costruzione: ingialliti e riparati con il nastro da disegnatore dove ho ripassato tutte le righe azzurrine della copia elografica appoggiandomi alla finestra,così sono entrato  perfettamente in simbiosi con la caligrafia di questo disegnatore che non conosco: seguo e assimilo la sua forma espressiva: i sui aggetivi, i sui punti le sue virgole, le linee d’acqua che gli Angolosassoni chiamano boot e che se provi a tradurli con il vocabolario di scuola ti ritrovi in una tineria del Lancashire.

La cosa più affascinate del progetto di una barca sono le linee d’acqua e le tavole dove sono riportate le coordinate numeriche dei i punti di intersezione tra queste e le linee delle ordinate. Lo sviluppo di queste linee: necessrio per poter disegnare le 12 tavole del fasciame, ti svela l’invio della prua, l’allargarsi dello scafo alla prima ordinata; dove è situato il baglio piu grande, quanto è distante dal baricentro statico; intuisci la forma d’onda che ogni scafo produce avanzando nell’acqua e che per gli scafi a vela dislocanti rappresenta, con la somma dei suoi semiperiodi (di vuoto e di peno), la velocita teorica massima raggiungibile. Verso poppa le  linee ti suggeriscono quanta spinta danno le forme nella riduzione del beccheggio e immagini dalle uscita sulla poppa la forma d’onda ideale che non rallenta la barca. Esistono poi due linee diagonali sengate sullo specchio delle ordinate da cui puo ricavare le posizioni dinamiche dello scafo e soffermarti a vedere lo sviluppo dello spazio bagniato corrispondente ad esse. Ormai è  inutile insistere con il geometra che gestisce le case dove abito, meglio trovare un altro posto per iniziare. Chiedo ad un amico di ospitarmi per l’inverno: Gianni alleva mucche nel paese viciono al mio e la sua cascina è una succesione di quattro vecchie abitazioni unite da un porticato, quando ho iniziato la barca viveva ancora da solo: meta di conoscenti e amici che tra i vecchi trattori smontati e oche e galline avevano svezzato li i propri figli. Nonostante la vita che conduce: legato alla terra e alla sue cose, Gianni ha interesse per ogni avvenimento che capita oltre i suoi campi e gli amici sono i portatori di tutte le novità piccole e grandi del mondo. Ha una passione maniacale per le costruzioni di ogni genere e quando ho iniziato a raccontare della barca che avevo in mente di costruire, ho dovuto aggiungere un’infinità di altri particolari: un’inesauribile sequenza di pezzi e di storie che bicchere dopo bicchiere ci ha condotti fino a sera. Momentaneamente il piccolo cantiere si è spostato nella cascina, Gianni ha concesso l’ultima di quelle antiche abitazioni fatte di tre stanze, cucina in basso e due stanze superiori raggiungibili tramite una scala di legno. Condivido lo spazio con un’altro abitule amico che da una mano ai lavori nelle stalle  e nei campi: Giulio pensionato in fuga dalle patine di felpa della moglie, arriva e mentre si cambia guarda i progressi dei lavori.

La prima parte da costruire è la chiglia con la scassa della deriva .......................................caspita, mi sono lasciato trascinare e questa volta senza i bicchieri del rosso di Gianni, ho il dubbio di aver iniziato una storia già mille volte raccontata che ha già annoiato quelli che hanno aperto questo FILE.

Chiedo venia, ma se capisco che misono sbagliato si sappia che sono disposto a ricominciare.

 

FRANCO   



09/12/2008 Franco Favilla
francofavilla@libero.it

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