Il lago resta il grande dilemma intellettuale di chi è vissuto al mare e adesso si trova più vicino l'acqua dolce anzichè salata.
Non riusciamo a motivare razionalmente l'incapacità di adattarci a questa realtà.
Nella mente navigazioni di piccolo cabotaggio: miglia disseminate lungo la costa, distanze simili ed anche più piccole di quelle che gli amici del lago raccontano dopo le loro uscite.
Sulla terra: boschi di pini arsi dal sole, odori di lentisco e resina che dalle spiagge si spingono a largo assieme all'arsura della rena. Oppure distese di conifere, grandi magnolie messe ad arte nei giardini verdeggianti e morbidi di vecchie ville, monti blu, azzurri, chiazzati di neve, odori di tiglio e aria fresca e limpida come l'acqua dei torrenti.
Gabbiani che salgono nelle termiche calde del mezzodì o nibbi o anatre veloci.
Acqua scura senza riflessi di profondità lacustri, calma, piatta, quasi immobile, dove scorre veloce la prua.
Onde dal moto eterno, dai frangenti di cristallo, indomite si rovesciano sui colori del mare, adesso chiaro e trasparente, subito dopo profondo e blu, poi verde come gli smeraldi.
Cigni che planano e si fermano su foto capovolte, verdi dei monti, scompongono l'acqua in scaglie di luce. Delfini sulla prua fresano la lastra di metallo d'un mare irreale, nella caliggine del mattino.
Borghi medievali, duri, arroccati su scoscese scalate di pietra, portano ancora dentro la fatica di chi li ha edificati e difesi dalle scorrerie saracene, pianure di aranceti verdi si mescolano a palme sino alle rive.
Vecchi manieri che si perdono tra i rampicanti, difendono le ultime torri di pietra scura dalle insidie del tempo e della memoria.
Durante la vita questo abbiamo trovato navigando e ci è difficile scegliere...........ma resti vivo il nostro dilemma: perchè vogliamo convincere quel tarlo...........
Il lago è qua, una mentalità pratica impone di arrivarci, farsi carico di sapere dove lasciare il carrello, l’auto,dove montare albero e barca, raggiungere l’acqua e tutte quelle altre amenità che siamo abituati a subire per praticare la nostra passione. Ho scelto Colico, sulla punta estrema del lago di Como, risalendo per Lecco verso i monti di Bormio.
La partenza per una giornata di vela inizia alle 6 del mattino: tragitto Crema, Lecco, Colico.
Colico è una località turistica frequentata da Lombardi, Svizzeri e Tedeschi, il lungo lago dove mi sono fermato è ombreggiato da conifere e tigli con bordi verdi d’erba rasata, cosparsi di villeggianti distesi al sole. Il punto di arrivo indicatomi è un posteggio per caravan ed auto che data l’ora di arrivo è ancora deserto; parcheggiata l’auto, scaricato il firaball dal carrello stradale su un carrello adatto per la riva (di questa operazione parlerò un’altra vota perché richiede un racconto a parte) monto l’albero, attrezzo la barca e trascino barca e carrello sino alla riva del lago, seguendo altre barche nel breve tragitto che da circoli e rimessaggi, disposti lungo la via lungolago, porta all’arenile del varo.
Il lago finisce poco più in là compiendo una vasta curva simile ad un golfo dove si riconoscono, immersi nella vegetazione campeggi ed approdi, sopra bei monti che non conosco salgono verso il cielo azzurro.
Inizio a navigare, la superficie del lago è senza onde, la barca scivola veloce, prendo confidenza con uno scafo che si fa subito nervoso e nato per due ti obbliga a non distrarti (13mq di vela si fanno notare anche se il mio peso non è del tutto indifferente. P.S. gli esami non finiscono mai).
Quando sono all’incirca nel centro del golfo noto che verso la riva, sotto i monti azzurri, viene formandosi una striscia d’acqua bianca mossa dal vento che mano a mano sia estende per tutta la larghezza e dietro si alza una nube d’aria ed acqua.
L’istinto mi dice che debbo trovare al più presto in una zona riparata ( prima lezione che ho imparato navigando: valutare sempre il territorio e prendere nota mentalmente delle possibilità di riparo e misurare il percorso per raggiungerle). Arrivo a terra vicino al punto dove ero partito; appena il tempo di ammainare tutto quanto ed ecco il vento(che m’hanno detto si chiama come un santo, nome subito dimenticato: non sono uomo di fede). Passo i dieci venti minuti successivi,…..bho… non ho guardato l’orologio, a tenere la barca per lo strallo mentre questa vibrava sul bagniasciuga in procinto di volare via con i rami spezzati e le altre cose incostudite. Le raffiche si sono susseguite per tutto il resto della giornata, a me non è restato altro da fare che recuperare il carrello, smontare tutto e tornare a casa.
Di laghi e di santi non ne so molto e così sono tornato a Colico perché a parte la distanza il resto delle cose funzionava bene: parcheggio, gente disponibile, saluti di sconosciuti che ti hanno notato la prima volta, mondo di persone che ha piacere a veleggiare su derive e surf e lascia le cose ed i carrelli sull’arenile senza dover soffrire degli improperi di turisti distesi al sole: abituati a questo andare dalle cose.
Dopo mezzogiorno, dal basso lago arriva la prima aria della termica, vado veramente veloce, ancora da solo, in cerca dell’equilibrio tra me e lo scafo, corro dietro e supero ogni deriva della mia misura, fatico ma sono appagato. Poi mi sposto nella parte aperta del lago, dove penso di ritrovarmi in una sorta di mare.
Mi aspetto vento teso e costante che proviene da una direzione ben definita. Un’altra considerazione derivata dall’inesperienza e dall’ignoranza verso il lago: tutt’attorno sono raffiche tese e sprazzi di aria leggera che ti fanno mettere il culo in acqua e rischiare d’avere la barca per cappello. L’albero è una banana: vang, ghinda, spingi-albero sono tesi a spianare il più possibile la vela, navigo tra fiocchi colorati di kait-surf che sfrecciano attorno allo scafo, inseguo surfisti in planate folli, sono disteso fuori dello scafo, attaccato al trapezio. Tutti guardiamo avanti sull’acqua a cercare di anticipare il vento: increspature dalle teste bianche, colori scuri, scaglie d’argento levigato, vele sventate; tutto è buono per dare un’indizio. Poi arriva la prima scuffiata: indizio sbagliato, sono atterrato a braccia aperte sulla randa, mi va bene, la barca torna su alla prima, strambo ancora prima di aver riordinato le cose a bordo e aggottato tutta l’acqua( ci penseranno gli svuotatoi nelle corse successive) attraverso una miriade di Kait-surf e per un attimo immagino un grande nodo attorno all’albero e noi tutti in acqua a districare i cavi. Seconda scuffia, questa vola la barca torna su e scuffia dall’altro lato e cosi via per un’infinità di volte che perdo il conto. Alla fine, quando riprendo a navigare sento che l’acqua è entrata anche nelle parti chiuse dello scafo: trafilando dagli oblo di ispezione (non avevo ritenuto necessario renderli maggiormente stagni con la pasta antigoccia come quello estero di poppa) rientro con un traverso decoroso a vele lasche ma di andatura ancora veloce, trovo due simpatici amici del momento, che lasciato il vuarien un attimo sulla riva, mi danno una mano a mettere la barca appesantita per l’acqua sul carrello . Sono le sei del pomeriggio smonto tutto e mi avvio verso casa; durante il tragitto cerco di fare il bilancio della giornata, non riesco a trovare l’aggettivo giusto, a dare un voto al tempo passato sul lago. Avverto la sensazione di essere di nuovo all’inizio di una storia: di dover ancora affrontare una infinità di fatti per conoscere il territorio in cui mi sono immerso, e non solo metaforicamente, una cosa è certa e sperimentata se la barca scuffia sono in grado di rimetterla in rotta e divento più amico di questo specchio d'acqua.