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Le carrellabili
Dinghy Mirror - piccola storia di una deriva
Per il mio primo articolo su Naima, ho deciso di pubblicare un vecchio post tratto dal mio Blog - il quale prende il titolo proprio da questa deriva: Dinghy Mirror.
Confesso che in un primo tempo mi sono trovato nell'incertezza: scegliere la strada dell'originalità con un nuovo articolo o pubblicare qualcosa di già scritto, ma a me caro?
I contatti non infrequenti al mio blog che hanno come chiave di ricerca "dinghy mirror" mi fanno propendere per l'idea che tale piccola deriva non sia ancora una barca da mettere in soffitta (o in garage!), ma che viceversa risponda, con la sua essenzialità, alle esigenze di molti marinai.
Per questo esordisco con il post "La storia di Sonatina", la barca dei miei inizi e alla quale devo un'affettuosa dedica tutta personale per i bei momenti che mi ha sempre riservato; del post riporto il link per un'accesso integrale alle foto e agli altri contenuti.
A presto.
Amikus.
Sonatina, il mio Dinghy Mirror del 1972.
| Per tanti anni la barca ha navigato e regatato in acqua dolce, in Inghilterra, e qualche volta nel mare della Manica, davanti alle coste britanniche. Seguendo il suo padrone su un carrellino è venuta in Italia, fermandosi per qualche anno a S. M. di Leuca. Poi, quel proprietario (un caro amico) l'ha ceduta a me e la barca mi ha seguito a Bari. Nonostante i suoi anni si mantiene abbastanza bene e naviga regolarmente.
Il Mirror nasce a seguito di un'idea del Daily Mirror, quotidiano inglese laburista, il quale come traino pubblicitario per la testata pensò di lanciare un concorso per un progetto di deriva semplice, economica, popolare, da costruire, volendo, nel garage dietro casa. Lo sport della vela accessibile a tutti.
Ma oltre ad essere economica, per non ritrovarsi con avvocati e richiestre di risarcimento dietro la porta, il Daily Mirror voleva una barca sicura al 100%. Così, dopo qualche disegno e qualche prototipo galleggiante, venne scelto il progetto di Jack Holt. Era il 1962 e la deriva fu chiamata Dinghy Mirror. Per tanti, semplicemente Mirror.
Negli anni successivi furono attribuiti, tra costruzioni amatoriali col Kit venduto in scatola (sopratutto agli inizi) e barche vendute complete a naviganti dai cantieri, oltre 70.000 numeri velici. In tal modo, il Mirror ha contribuito a rendere davvero popolare lo sport della vela in Gran Bretagna (ma anche nell'Europa del nord, in Canada, Australia e in misura minore in Stati Uniti), probabilmente più di ogni altra deriva e ha consentito l'alfabetizzazione velica a centinaia di migliaia di persone di ogni estrazione sociale. Con un paragone automobilistico italiano, un po' quello che per noi è stata la nostra Fiat 500.
In Gran Bretagna, tutte queste barche hanno reso possibile la nascita di una fortissima associazione di classe che aiuta l'organizzazione di tante manifestazioni in tutto il Regno Unito; si può affermare che quasi non esiste lago in Inghilterra, per quanto piccolo, che non abbia la sua flotta di Mirror che si sfidano ogni domenica in regate partecipate da gente di ogni età e di ogni ceto.
La barca è lunga 3 metri e 30, con una superficie velica composta da una randa di 4,6 mq, un fiocco di 1,9 mq e lo spinnaker di 4,4 mq, per un peso dello scafo di 45 kg. La barca ha un armo portoghese con un picco in legno che le dona un tocco di eleganza classica; ma il progettista l'ha ideato in quel modo per una specifica e pratica funzione: l'armo, ripiegato, sta all'interno della sagoma della barca rendendone più semplice il rimessaggio e la movimentazione. Una pubblicità dell'epoca mostrava una coppia mentre caricava a mano un Dinghy Mirror sul portapacchi di una mini-minor: quasi fosse un surf.
Perfetta per un equipaggio composto da due ragazzi, un timoniere e un prodiere, per l'adulto la conduzione in coppia si rivela una po' sacrificata (anche se personalmente ho iniziato a condurre la barca in doppio, insieme ad un amico, con l'entusiasmo e lo spirito di adattamento che sono propri degli esordi).
Data la disposizione delle manovre tutte a portate di mano, diventa molto semplice la conduzione in solitario, dopo una pratica davvero mimima, con randa e fiocco. Qualche marinaio in solitario riesce a portare a riva, oltre a randa e fiocco, anche lo spinnaker. È possibile, spostando l'albero a pruavia della sua sede normale, in una apposita base d'albero presente sulla coperta, uscire con sola randa, ma la barca diventa sottopotenziata e meno equilibrata. In ogni caso è data anche questa opzione, magari per il ragazzo che vuole uscire da solo in una giornata un po' più ventosa.
Il Mirror certamente non è una deriva che si può definire planante; la filosofia del suo progetto è più orientata alla sicurezza e alla tenuta al mare che alla velocità pura. Ma anche se non è una “scheggia”, il Mirror è un gran bel progetto: equilibrata ad ogni andatura, di bolina stringe bene il vento e anche sotto raffica, non straorza mai. Serena nella conduzione anche con vento sostenuto e onda formata (in relazione ovviamente alle dimensioni del veliero), mantiene bene la sua rotta; per contrastare lo sbandamento, dati il peso e la superficie velica contenuti, basta sporgersi forzando appena sulle cinghie per portare la barca sulle sue naturali linee d'acqua.
A suo modo stabile e relativamente asciutta, la galleggiabilità in ogni frangente è garantita da quattro riserve di galleggiamento indipendenti, due sotto le panche laterali, una a prua e a poppa: anche tagliandola in due, la barca resterebbe a galla! Qualcuno ha detto:"Se fossi naufrago in mezzo all'oceano, preferirei certamente essere su un Mirror, piuttosto che alla deriva su una zattera di salvataggio!”. Per la mia personale esperienza, nonostante la forzatura della boutade, la realtà non è molto distante: il Mirror è una barca davvero “marina” per le sue dimensioni.
Dura a scuffiare, nel caso di malaugurato capovolgimento, le riserve mantengono la barca alta sulla superficie del mare e il pozzetto quasi completamente sgombro dall'acqua. Personalmente mi è capitato di scuffiare col Mirror un paio di volte agli esordi, sottovento dopo una vira e con una bava di vento leggerissima: praticamente mi sono tirato addosso la barca. Una terza volta con un amico, lui al timone e io in piedi a prua estrema attaccato allo strallo mentre facevamo gli idioti: ovviamente siamo finiti a mare, ma l'abbiamo voluto. Per raddrizzare il Mirror basta impugnare la deriva a baionetta mentre si è ancora in acqua ed esercitare una modesta pressione: la barca si raddrizzerà in pochi secondi. Un profilo sagomato all'interno del piccolo skeg davanti al timone, consente di afferrare la barca quando è "pancia all'aria" e aiuta ulteriormente la movimentazione della stessa capovolta.
Equilibrata al timone e con qualsiasi condizione di vento, sensibile con la brezza più tenue e onesta con il rinforzo più audace, in ogni caso il Mirror ispira fiducia e confidenza all'equipaggio che subito si sente padrone della situazione e apprende velocemente quello che c'è da imparare su una deriva.
Anche un tipico esercizio da “scuola vela”, la navigazione senza timone, risulta molto semplice. Con una breve pratica di qualche minuto, spostando il proprio peso attorno al centro di deriva e con l'aiuto delle vele, si può dirigere un Mirror ovunque mantenendo la rotta prescelta: un vero spasso!
Qualcuno ha anche compiuto delle lunghe quanto spartane crociere. In particolare, un'impresa decisamente singolare è descritta in un libro “The Unlikely Voyage of Jack de Crow”, il viaggio di un australiano, AJ Mackinnon, che dal Galles del nord, attraversando la Manica, ha raggiunto la Romania con la sola forza propulsiva della vela e dei remi.
La barca completa e navigante in Gran Bretagna costa da circa 3.500 € (versione crociera) a circa 4.000 € (versione racing con rig da regata e spi); molto meno la versione in kit da autocostruire. L'usato è diffusissimo con prezzi anche molto bassi.
Davvero una barca per tutti: peccato che in Italia sia praticamente sconosciuta. Riempirebbe una nicchia di mercato a mio modestissimo parere non occupata da nessuna deriva: pratica, veloce da armare, semplice da alare e condurre in solitario e soprattutto sicura in mezzo al mare, soddisferebbe le necessità di moltissimi velisti o aspiranti tali.
Per ciò che mi riguarda mi godo la mia Sonatina, quando è possibile, inverno o estate non fa nessuna differenza, incrociando davanti e dietro alla costa standomene beato nel legno del piccolo pozzetto ad ascoltare il suono dell'acqua sull'opera viva.
Ogni tanto qualcuno con un'altra deriva o un cabinato si avvicina ed mi dice “Che bella! Che barca è?”
23/08/2011 Amikus dinghymirror@gmail.com
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