…“le
barche meglio riuscite sono quelle abbastanza piccole da essere
trasportate a casa o abbastanza grandi da viverci”- P. C. Bolger
Per
molti, e anche per me, la società civile nazionale è ormai
paragonabile a quella del periodo della fine dell’impero romano a
cui è seguito un medioevo lungo e oscuro.
La
nautica attuale è espressione evidente di questo stato di fatto, per
questo è comprensibile la guerra alla piccola nautica, prima
attraverso la sua ridicolizzazione da parte dei mass- media, che
trattano solo delle vacanze dei ricchi e potenti, i quali mica
possono farsi fotografare su un barchino. Il resto delle persone deve
andare in vacanze solo tramite pacchetto organizzato
(questo è l’ordine che arriva da televisioni, riviste e giornali )
o starsene a casa, se ce l’ ha ancora. Il tutto avvalorato
dall’atteggiamento ostile dei pubblici amministratori.
Per
ribellarsi a questo stato di cose occorre avere un atteggiamento
diverso nei confronti della nautica, ovvero bisogna avvicinarsi il
più possibile allo spirito dello yachting camping, ovvero navigare
il giorno e alare la barca sulla spiaggia di notte. Per cui
occorrono barche leggere, derive mobili e alberi abbattibili,
passando, dove è possibile, attraverso il recupero delle vecchie
barche esistenti con queste caratteristiche o/e l’autocostruzione
di nuovi, piccoli velieri.
Se
è vero che i marina privati hanno ormai fagocitato tutta l’offerta
di posti barca, e accolgono solo barche medio grandi e a prezzi
altissimi come se fossero piccoli principati di Monaco, ci
restano
però i corsi dei fiumi, e le lagune che possono essere luogo di
rifugio e svago, e che permettano di raggiungere il mare aperto, ma
che hanno, appunto, due tipi di difficoltà: la limitazione verso
l’alto dovuta ai ponti che gli attraversano, e i fondali molto
bassi.
Problemi
sempre esistiti e risolti non da ricchi possidenti o dai grandi
industriali e tanto meno da politici illuminati, ma da poveri
pescatori e abili artigiani.
Mi
riferisco alle barche tipiche della laguna veneta, a vela e a remi,
abbandonate per gli usi professionali dall’avvento del motore ma
riscoperte negli ultimi anni dal diporto velico.
Solo
a titolo suggestivo, segnali i link di un filmato molto suggestivo
nonché l’indirizzo del circolo velico casanova di Mestre.
Le
acque fluviali della zone che conosco, in particolare il Cecina, sono
ridotte ai minimi storici a causa dei prelievi eccessivi per uso
agricolo e industriale, non portano più sedimenti a valle e quindi
non possono più contrastare, con il loro apparto, l’erosione delle
coste. Spesso, i fiumi a regime torrentizio, d’estate sono in
secca.
Al
lato della foce del Cecina sorgerà il nuovo porto turistico, per cui
resterà praticabile alle barche con scarso pescaggio un tratto dalla
foce al primo ponte che attraversa il fiume.
Questo
è superabile solo da barche che possono abbattere l’albero
facilmente e quindi proseguire per un altro tratto, di circa un
chilometro, fino ai due ponti successivi (quello ferroviario e quello
sulla via Aurelia), entrambi non superabili. Il fondo è molto basso,
occorrono barche a fondo piatto, magari a remi o con il piede de
motore che peschi pochissimo. Già un battello pneumatico avrebbe i
problemi di incaglio.
Questo
tratto è interessante, percorso sulla riva destra da un passeggiata
ciclabile e sulla sinistra è libero da permettere di tirare a secco
un barchino. Magari è ideale per farci un club della vela ed del
remo.
Anche
nel passato il fiume ha offerto rare possibilità di vivere con la
pesca, per cui non servivano barche da fiume, bastava pescare con le
bilance fisse.
I
pescatori di queste zone, per avere un pescato che gli permettesse
di vivere decentemente, hanno sempre dovuto affrontare il mare
aperto, e quindi le loro barche erano i gozzi pesanti armati a vela
latina, in grado di uscire in mare anche col tempo incerto, e
soprattutto capaci di stare fermi in acqua a tirare su le reti anche
in presenza di vento e onde.
Non
era così per chi pescava in zone paludose o lagunari, caratterizzate
da acque calme, si ma da fondali bassi e insidiosi. Qui occorrevano
barche leggere e a fondo piatto, armate con la vela al terzo,
ovviamente meno adatte, e soprattutto meno sicure per il mare
aperto.
Con
la rapida diffusione del motore, le barche a vela professionali sono
scomparse, sia dal mare che dalla laguna.
Tuttavia,
da alcuni anni, alcuni appassionati hanno ripreso alcune barche
tradizionali e, dopo averle restaurate o addirittura ricostruite, le
hanno utilizzate per diporto e addirittura per farci le regate.
Così
sono nate alcune associazioni de vela latina, che poi hanno
costituito un vero e proprio circuito internazionale di regate
(http://www.velalatinacircuit.it)
e altrettante associazioni per la vela al terzo.
Il
fenomeno più diffuso e, a mio parere più interessante, è stato il
recupero delle barche tradizionale della laguna veneta soprattutto
per fare delle gite giornaliere fra un’isola e l’altra, in una
ambiente naturale suggestivo. Segnalo a proposito e consiglio la
visione di questo filmato, diviso in due
parti,http://dailymotion.virgilio.it/video/k3gw2DjkUKb0CejsLV#from=embed
/
http://dailymotion.virgilio.it/video/x2rfna_velaterzo-1991-2ap_sport
, ideato dal Circolo
velico Casanova di Mestre,
che ha, fra gli altri meriti, anche di organizzare la Velalonga
di Venezia
e la velalonga
raid.
Mi
domando se non sia il caso di prendere spunto da queste esperienze, e
pensare di dotarci di barche leggere che possano risalire un corso
d’acqua protetto, inaccessibile ad altre imbarcazioni e lì
trovare ricovero? Possiamo fare a meno dei costosissimi marina che ci
trattano come lebbrosi e trovare nuovi luoghi per fermarci,
lasciandoci la libertà di uscire in mare?
E
ancora; è pericoloso utilizzare una barca a fondo piatto in mare
aperto per un bagno, per veleggiare o per pescare? Non certamente per
chi pesca per diletto.
Intanto
niente reti, che sono vietate, solo lenze o al massimo palamiti e con
un numero ridotto di ami. Per godersi il mare difficilmente si esce
se non con il tempo dichiarato al bello. Se il pesce non abbocca il
problema non c’è, perché si va anche per fare una gita
(pesca-passeggiata) e d’estate, per fare il bagno un po’ più in
là.
Allora,
anche noi, appassionati di piccole barche, possiamo prendere idee
dalla tradizione, restaurare, rinnovare, ricostruire o reinventare
barche per una nautica civile che sia effettivamente praticabile?
Un
esempio possibile: la Sampierota,
che è lunga mediamente fra i sei e i sette metri,
parzialmente pontata, a fondo piatto, con il suo lungo timone
sollevabile che ha anche funzione di deriva, il suo armo al terzo,
nata per pescare nella laguna Veneta e quindi andare bene a vela e a
remi, ora motorizzabile con un piccolo fuoribordo, è ritornata a
vivere come barca da diporto e pesca sportiva, dimostrando di essere
un esempio chiarissimo della nautica che vorremmo.
foto
tratta dal sito del circolo velico Casanova
In
effetti ha :
Un
basso costo di realizzazione (possibilità di autocostruzione
facile, niente cassa di deriva perché questa funzione è assolta
dal timone rialzabile, disponibilità di kit di montaggio in
commercio);
facilità
di alaggio e di trasporto su un carrello stradale
spazi
discreti a bordo.
La
vela al terzo e l’albero basso e/o abbattibile consentono di
passare sotto i ponti
Il
pescaggio è veramente ridotto.
Una
barca simile, con le sue vele particolari, non sfigurerebbe
certamente tra i gommoni e i motoscafi dei porti tirrenici che
appaiono solamente in piena estate, e reggerebbe il confronto con i
moderni sloop marconi, e anche con i gozzi a vela latina.
Non
è stato un caso che una tappa del circuito della vela latina è
stata effettuata a Chioggia, confrontandosi con la flotta adriatica
di vele al terzo,
(http://www.italiavela.it/articolo.asp?idarticolo=vele-latine-vele-al-terzo-rendez-vous-chioggia_7783).
In tutti e due i casi stiamo parlando di barche concepite per la
pesca professionale, sviluppatesi in situazioni diverse ma con un
unico fine: garantire le migliori condizioni per far vivere e
lavorare i pescatori e permettergli di riportare a casa la pelle.
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Per
avere una nuova nautica a dimensioni umane e non televisive,bisogna
ricominciare ad andare dove non andrebbe nessuno. “-Ci sarà sempre
- soleva dire Mancini - un angolo schifato da tutti perchè non ha
più di trenta centimetri d'acqua: ecco, che con col vecchio Piviere
io potevo dondolare…..”-. dovremmo essere capaci di andare anche
a meno di trenta centimetri.
Non
possiamo aspettare che i cantieri facciano barche al giusto prezzo,
dobbiamo restaurare quelle valide esistenti, come i Pivieri, o
farcele da noi.
Se
le barche tradizionali non ci convincono, possiamo affidarsi
all’innovazione, guardando quello che succede in altri paesi, ma
sempre cercando velieri con pescaggio riducibile e albero abbattibile
o molto basso, grazie ad armamenti di randa aurica od al terzo.
Pensiamo
alle barche aperte, semipontate o cabinate, con un occhio sempre al
trasporto su strada .ed al facile rimessaggio Alcuni appassionati
hanno considerato l’esperienza americana degli sharpie, pensati per
pescare in mare aperto, ma anche per ritornare in zone a basso
fondale Gli esempi di piccoli cabinati costruiti su disegni di
provenienza d’oltre oceano sono stati numerosi. Segnalo il Marta
Jane, progettato da Philip C. Bolger, e armato con vela al terzo, è
stato costruito da Roberto Prina, e partecipa persino al Velaraid,
della laguna veneta.
(http://www.cantierino.it/AEsperienze/martajane/6Prina.html).
Altre barche, altrettanto interessanti sono cat kech, come i
Core sound 15, 17 e 20 piedi (barche aperte)
e
i Princess sharpie 22 e 26 (cabinati da crociera costiera)
dello
studio (http://www.bandbyachtdesigns.com/index.html
)
e la serie dei N.I.S di Bruce Kirby (sharpie cabinati).
foto tratta da http://www.nisboat.com
senza
dimenticare un disegno di qualche anno fa, il Foschia, un cat-boat
lungo 5,80 m. a deriva mobile, pensato per la costruzione in cuci e
incolla. Di cui è autore l’architetto Rodolfo Foschi di Firenze.
Adatto
invece alla vela ma anche ai remi è il Primovento, dello stesso
progettista.
Se
invece vogliamo affidarci ai cantieri, consiglio di dare uno sguardo
alle pagine web di Fabio Fazzo (http://www.velanet.it/users/vela.aurica/home.html) che
ha raccolto una serie di barche possibili e soprattutto belle.
Il
fondo piatto o quasi, e la vela facilmente abbattibile, non sono
importanti solo per l’ormeggio, il rimessaggio ed il trasporto su
strada del nostro barchino, ma permettono anche di fare una crociera
costiera riducendo i disagi pratici ed economici al minimo. E allora si può fare quello che Franco Bechini ha fatto per tanti anni con le
sue crociere con il "Solitudo", un catamarano di sei metri, con cui cercava
abitualmente rifugio per la notte nelle foci dei
fiumiciattoli,
evitando come la peste porti e marina..
Certo,
occorre risolvere un problema non da poco, che l’alaggio e il varo
da una spiaggia o da una riva di un fiume con barchini che pesano
almeno tre quintali, fino ad arrivare ai mille di un cabinato tanto
storico quanto attuale che è il Piviere 6,14 a deriva mobile. I
pescatori facevano tutto a forza di braccia, noi invece dobbiamo
organizzarci con “carrelli automobili”, motorizzati in qualche
modo. Qui la strada si fa veramente interessante, perché c’è lo
spazio per le realizzazioni amatoriali, a costi molto bassi, e per
quelle professionali.
A
titolo informativo segnalo l’articolo di Francesco lenzi sui porti
a secco
(http://marinaiditerraferma.blogspot.com/search/label/Porto%20a%20secco
) e il mio su Naima
http://www.velanet.it/users/ilpiviere/rivista/articolo.php?id=85
)
E
il Sito del produttore di carrelli Gattanella
http://www.gattanella.it/alaggio/mainmenu.html
.
Sul
web si possono trovare realizzazioni amatoriali di carrelli da
alaggio semoventi.
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Quando
decidiamo di cambiare orizzonte, perché abbiamo qualche giorno di
ferie,
con
una barca piccola possiamo seguire le indicazioni di Francesco e
organizzaci in questo modo:
http://marinaiditerraferma.blogspot.com/p/gavitelli.html
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In
conclusione, per fare nautica, o meglio, per fare Yacthing
,http://www.velanet.it/users/ilpiviere/rivista/articolo.php?id=156, con i tempi che corrono bisogna essere un po’ geniali;
esattamente
come il signore con la cravatta sulla piccola barca, della foto qui
sotto, che a tempo perso inventò la teoria della relatività.