Capita a tutti quelli che vanno per mare o sui laghi di
volersi fare una barca. Il fare
questa volta assume una componente fisica di partecipazione alle scelta delle
forme, delle dimensioni e si spinge fino alla realizzazione ed al varo.
Lasciando perdere quelli che riescono ad uscire indenni da
queste idee e continuano ad usare quello che anno o si limitano a scegliere ciò
che offre il mercato condizionati solo dalla grandezza delle proprie tasche.
Restano ancora due tipologie che per sommi capi comprendono le infinite
personalizzazioni nate nelle menti dei futuri possessori di una nuova barca. I
personaggi di una di queste categorie girano per anni nei padiglioni delle
fiere nautiche, raccolgono tutti i depliant, conoscono gli artigiani cheespongono e che vanno a trovare ogni anno;
poi un giorno questi individui passano dai saloni al cantiere ed iniziano la
loro avventura. Allaltra categoria appartengono coloro che misurano quanto è
grande il loro garage o il salotto e con queste misure scelgono il tipo di
barca. Io appartengo a questa categoria.
La barca che ho deciso di fare non sarà lunica che avrò a
disposizione: esiste già il Microchallange per uscire in mare,
ma resta comunque una barca speciale.
La costruzione sarà un viaggio dove rivivono attimi lontani
dellinfanzia e delladolescenza, quando a Viareggio esistevano baracche di
legno colorate di pittura verde simile alle antivegetative degli scafi. Avevano
leporte segnate da successivi
allargamenti necessari per far passare scafi sempre più ingombranti ed erano
affiancate da piccole abitazioni delimitate lungo la strada da pini bassi,
fiancheggiate da orti: dove tra piante di vite con le foglie sempre un po
gialle stavano file di panni stesi. Varcando con i ricordi quelle porte sento
il fondo in terra battuta e nella penombra della memoria escono: forme dibanchi con grandi morse di legno e le scasse
per fermare le tavole da piallare; marmotte, scalpelli, magli da calafato,
asce, sponderuole, pialle grandi: alte come un bambino; sagome di timoni e
centine rimessate lungo le pareti, appese con cavicchi e chiodi strato su
strato in un grande affresco che racconta lavori passati. In alto sotto il
soffitto i remi sono infilati assieme alle assi lunghe nelle capriate a forma
di triangolo isoscele. Un mondo ormai scomparso, modificato dal giusto
benessere che rende più facile la vita. Le barche che si facevano in quelle
baracche erano gozzi da lavoro con costole preistoriche sanguinanti di minio o
scafi più leggeri dal fasciame a clinker le cui tavole venivano piegate a caldo
su sagome conficcate nella terra battuta a mo di scalo rovesciato. I legni che
si usavano erano lolmo la quercia il rovere e il fasciame era in pino
marittimo che da noi si chiama Piella; di rado venivano impiegati il mogano
ed il teak.
Compagna di questa navigazione psichedelica è una barca a
vela di 12 piedi
(circa 4metri) nata dalla mente di Gorge Cockshott (Lancashire-Inghilterra) nel
1913 per partecipare ad un concorso indetto dalla Boat Racing Association in
cera di un dinghy 12 piedi
fuori tutto da utilizzare nelle regate di circolo.
La definizione dinghy in per i Britannici e gli Americani
identificava un barchino di supporto ai grandi yacht che nascevano: eracostruito con fasciame sovrapposto e cucito
con chiodi di rame ribattuti (clinker) caratterizzato da buona stabilita, di
struttura leggera per essere issato facilmente a bordo.
Il progetto ebbe subito grande successo, provvisto di deriva
armato con una randa a gunter (infierita sul picco per il quarto dellestensione
e issata su un albero corto) di 100 piedi q. (circa 9,30mq) si prestava ad
essere utilizzato sia per regata che canottaggio (è dotato di scalmiera poggia
piedi e remi). Venne prescelto nel 1920 dal Comitato Olimpico Internazionale
come imbarcazione per singolo alle olimpiadi di Ostenda. Nel 1935 nacque la
classe a restrizione dove vennero definite misure e pesi e divenne Dinghy 12 piedi stazza
internazionale: come sta scritto sul regolamento di stazza regalatomi da un
amico assieme ai disegni dei piani di costruzione datati 1951: ricordi del
padre ormai scomparso che li costruiva in Liguria.
Inizia la costruzione
Il garage che avevo pensato come cantiere è ancora privo di
porta e siamo allinizio della brutta stagione,ho impiegatolattesa ricavando le sagome di cartone in
grandezza naturale delle parti disegnate in scala 1 a 10 sui piani di
costruzione: ingialliti e riparati con il nastro da disegnatore dove ho
ripassato tutte le righe azzurrine della copia eliografica appoggiandomi alla
finestra,così sono entratoperfettamente
in simbiosi con la calligrafia di questo disegnatore che non conosco: seguo e
assimilo la sua forma espressiva: i suoi aggettivi, i sui punti le sue virgole,
le linee dacqua che gli Anglosassoni chiamano boot e che se provi a tradurli
con il vocabolario di scuola ti ritrovi in una tineria del Lancashire.
La cosa più affascinate del progetto di una barca sono le
linee dacqua e le tavole dove sono riportate le coordinate numeriche deipunti di intersezione tra queste e le linee
delle ordinate. Lo sviluppo di queste linee: necessario per poter disegnare le
12 tavole del fasciame, ti svela linvio della prua, lallargarsi dello scafo
alla prima ordinata; dove è situato il baglio più grande, quanto è distante dal
baricentro statico; intuisci la forma donda che ogni scafo produce avanzando
nellacqua e che per gli scafi a vela dislocanti rappresenta, con la somma dei
suoi semiperiodi (di vuoto e di pieno), la velocità teorica massima
raggiungibile. Verso poppa lelinee ti
suggeriscono quanta spinta danno le forme nella riduzione del beccheggio e
immagini dalle uscita sulla poppa la forma donda ideale che non rallenta la
barca. Esistono poi due linee diagonali segnate sullo specchio delle ordinate
da cui può ricavare le posizioni dinamiche dello scafo e soffermarti a vedere
lo sviluppo dello spazio bagnato corrispondente ad esse. Ormai èinutile insistere con il geometra che
gestisce le case dove abito, meglio trovare un altro posto per iniziare. Chiedo
ad un amico di ospitarmi per linverno: Gianni alleva mucche nel paese vicino
al mio e la sua cascina è una successione di quattro vecchie abitazioni unite
da un porticato, quando ho iniziato la barca viveva ancora da solo: meta di
conoscenti e amici che tra i vecchi trattori smontati e oche e galline avevano
svezzato li i propri figli. Nonostante la vita che conduce: legato alla terra e
alla sue cose, Gianni ha interesse per ogni avvenimento che capita oltre i suoi
campi e gli amici sono i portatori di tutte le novità piccole e grandi del
mondo. Ha una passione maniacale per le costruzioni di ogni genere e quando ho
iniziato a raccontare della barca che avevo in mente di costruire, ho dovuto
aggiungere uninfinità di altri particolari: uninesauribile sequenza di pezzi
e di storie che bicchiere dopo bicchiere ci ha condotti fino a sera.
Momentaneamente il piccolo cantiere si è spostato nella cascina, Gianni ha
concesso lultima di quelle antiche abitazioni fatte di tre stanze, cucina in
basso e due stanze superiori raggiungibili tramite una scala di legno.
Condivido lo spazio con unaltro abituale amico che da una mano ai lavori nelle
stallee nei campi: Giulio pensionato in
fuga dalle patine di felpa della moglie, arriva e mentre si cambia guarda i
progressi dei lavori.
Dritto di prua Chiglia Specchio di Poppa
Il dritto di prua è tuttaltro che dritto! Scende verso la
chiglia
Appena inclinato perterminare con una curva che il più delle volte si realizza componendolo
in due pezzi.
Ancora quando ero ragazzo cera chi riusciva a farlo in un
pezzo solo di legno ricurvo.
Quando mio padre andava a pescare con il giacchio, lo
seguivo in bicicletta: attraversavamo il viale confinato tra due file di tigli,
giganti per letà, che da Viareggio va verso Torre del Lago e ci immergevamo
nella pineta percorrendo certi sentieri disegnati da terra finissima, chiara,
sul letto di aghi marrone. Invista
dello stadio, ripiegavamo verso il mare: tra il campo di tiro a volo e i resti
dalle forme egizie del Valipedio (vecchio poligono di tiro costruito nel
ventennio). Lasciata la pineta alle spalle, nel cielo azzurro di ottobre,
raggiungevamo un acciottolato largo che marcava linizio delle spiagge:
embrione di un viale che vedrà la realizzazione definitiva intorno agli anni
70.
Sulla destra una strada di sabbia battuta dirigeva alla
darsena più remota del porto. Proseguivamo uno dietro laltro tra vecchi
stabilimenti balneari, ormai deserti, dipinti grossolanamente di blu, bianco e
rosso; ed il muro di cinta dei nuovi cantieri navali Benetti.
Allinizio della strada una falegnameria immersa nelle dune
e nei rovi esponeva un repertorio di tavole ricurve appoggiate al muro di
cinta. Quelli della segheria si dovevano essersi distinti tra tanti per la
capacità di trovare tronchi ritorti da ridurre in tavole, spesse anche 5cm che
poi lasciavano stagionare ad uso degli ultimi carpentieri: sacerdoti di una
tradizione millenaria in rapida estinzione. Tavole che come spiegava mio padre
finivano nella realizzazione di prue,calcagni,monaci: infisse nelle chiglie
e nei madrieri, come madre natura le aveva fatte, seguendo le forme dello
scafo.
--Il giacchio ha trefoli di canapa più sottili della corda
di questo salamino: è una rete conica con maglie a forma di rombo--: non poteva
sfuggire a Gianni il termine inusuale che avevo pronunciato.
--Nella parte alta le maglie sono più grandi e terminano con
un capo intrecciato che ti resta in mano e serve per il recupero: la cosa si
fa interessante e tra le fette di salame della merenda sotto il portico e i
bicchieri di vino che stemperano la sera, si aggiungono i ricordi: di quanto
mio padre la stendeva ad asciugare, calandola dal terrazzo sino al giardino e
la rete assomigliava a quei coprinsetti indiani che si vedono avvolgere i letti
nei film.
--Sulla base ha una balsa di canapa più spessa guarnita con
piccoli piombi, legata ad intervalli regolari alle maglie con trefoli corti che
tirando la rete formano la borsa dove restano imbrogliati i pesci.
Arrivati sullarenile mio padre toglieva il giacchio dalla
sacca azzurra, scolorita da infiniti bagni e a torso nudo, con i calzoni tirati
su fin sopra il ginocchio, si disponeva una parte della rete sulle spalle: come
un tabarro; ordinava laltra parte in ciocche stese dal peso dei piombi, in
modo che non si sovrapponessero ed entrava in acqua. Le onde di sabbia del
fondo si scomponevano in nugoli nebbiosi tra i suoi piedi quando: con un passo
di danza si voltava verso di me facendo oscillare le ciocche che poi lanciava a
mezzaria roteando come un atleta nel disco olimpico di tiro del martello; La
rete si stendeva nellaria simile ad un telo mosso dal vento ed entrava in
acqua.
--Si pescavano boghe,piccole sogliole, tracine dai
pungiglioni pericolosi,triglie; una volta anche un ragno (branzino)Gianni ha
recuperato una tavola che non era mai riuscito ad impiegare, è dello spessore
giusto e la sagoma di cartone è molto simile.
La chiglia è ricavata da una tavola di mogano comperata da
Bellotti: famoso rivenditore di legnami alle porte della Brianza; sui disegni
il nostro sconosciuto amico riporta queste indicazioni in legno di olmo
omogeneo o rovere o mogano, spessore al centro, allapertura per la chiglia
mobile, mm51 rastremata a 45
in avanti e addietro mm38 Scorrendo i disegni della
sezione longitudinale è possibile, dopo aver fissato sulla tavola una sagola
tra i due estremi in rappresentanza della linea di fede che divide la chiglia
in superiore ed inferiore, riportare le misure della sella interna dove sarà
avvitato ed incollato il paramezzale: sporgente oltre lo spessore della
chiglia, largo 102mm e spesso 20mm che verso prua finisce sagomato secondo la
piega del fasciame. La parte inferiore arriva a poppa dove verrà tagliata in
seguito a filo dello specchio e segue una curvatura avviata alle forme della
ruota di prua (la grande curva del dritto). Le misure dei disegni riportano le
mete di distanza ad ogni cambiamento di forma e dividono il pezzo in otto
parti, la tavola così risulta ben più larga del pezzo finito e dimostra quanto
siano state utili quelle sagome,nellacquisto dei legni, fatte in attesa che il geometra finisse di mettere
la porta al garage. Adesso occorre una bindella (sega a nastro caratterizzata
dalle due grandi ruote che indirizzano e trascinano il nastro di acciaio
dentato che taglia). Nella legnaia di Gianni ce nè una: ha la struttura in
fusione di ghisa con i piedi a forma di zampe danimale, le due ruote che
governano il nastro della sega sono a raggi attaccati con la forgia, sui
pignoni due vasetti di vetro contengono il grasso che viene spinto dentro
avvitando il tappo. I coperchi delle ruote sono forati da sagome artistiche
fine secolo, una grossa cinghia piatta e larga con la dentiera di chiusura in
ottone collega i rotismi alla presa di forza di un vecchio trattore. E stato
inutile regolare la cassetta di scorrimento del nastro: avvicinando le
rotellee stringendo la pinza rifoderata
di cuoio, il nastro si sposta sulle ruote che oscillano nelle bronzine; la
forma finale ha un contorno ondulato che debbo sistemare con la pialla e lolio
di gomiti. Nei giorni successivi cerco un falegname che con la mortasa: una
specie di fresa assomigliante ad una punta di trapano che fuoriesce sul lato di
quelle pialle moderne, gli chiedo di aprire il passaggio della deriva mobile.
Lo specchio di poppa è un bella tavola di mogano che ho già deciso di passare
con la vernice trasparente di sezione quadra mm19 avvitata al dritto di poppa,
scanalata per un remo di bratto e sagomata al coronamento la faccio tagliare
dal falegname che ho trovato; il disegno dello specchio è riprodotto a metà in
scala 1:1, nella stessa scala sonoanche
riprodotte le sagome del dritto e del calcagno che finiranno con lessere fatti
con gli sfrisi della tavola usata per la realizzazione della prua.
Composti ed incollati con la moderna resina della Veneziani
e tenuti assieme da una infinità di morsetti di ferro hanno laspetto dei resti
del grosso pesce che galleggia alla fine della romanzo IL VECCHIO ED IL MARE.
Cassa della deriva e scalo rovesciato
Complice un clima veramente inusuale per le nostre zone,
alla fine di ottobre, fatto di giornate dallaria frizzante, azzurre, dove il
sole disegna nitidi i contorni delle case degli alberi e dei monti ancora
bruni: non mi sono ancoradeciso a
traslocare completamente nella casa di Gianni. La lisca del dinghy è nel mio
garage senza porta, invaso dai trucioli usciti dalla pialla quando ho rifilato
il contorno ondulato della chiglia e avviato le forme della prua, ma adesso è
il momento di spostarsi: lo esigono le lavorazioni imminenti.
Nella stanza a piano terra della casa abbiamo spostato
contro un angolo il vecchio mobile da sala con la credenza guarnita da
specchietti rettangolari diventato ripostiglio di sementi e concimi, traslocato
altrove il grosso divano che Giulio usa destate per i pisolini, tolti i sacchi
di pane secco per i polli; misurata con scrupolo la porta di accesso ad una
sola anta,chiusa in basso da pannelli di legno e superiormente suddivisa in
quattro vetri separati da una cornice a croce: sarebbe imperdonabile scoprire
alla fine della costruzione di non riuscire a portar fuori lo scafo, ne Gianni
mi permetterebbe di allargare luscita.
La cassa della deriva sale dal paramezzale fin sopra la
linea di galleggiamento ai bordi dellapertura fatta con la mortasa del
falegname. In calce sui disegni è riportato: Cassa di deriva mobile Apertura
per la lamiera di 13mm in luce, fianchi di kauri o pino delloregon spessore
19mm. Piedritti di rovere o teak, coronamento di kauri pino mogano o teak.
Perno per la deriva di lamiera = bullone da 3/8 - 9,5mm con
bussola di 5/8 15,9mm ribadito con due rondelle ai lati della cassa
Sopra chiglia ovvero la chiusura della cassa verso prua
olmo di roccia o picth-pine 102x19mm sagomata al centro come la chiglia e
fissata con viti in ottone del n°12 distanza delle viti 100mm un laconico
asterisco che quasi si confonde con le macchie della carta indica la
ripetizione delle note per la chiusura verso poppa.
Nella casa di Gianni la prima cosa da fare è la
realizzazione di uno scalo. Chiamare scalo questo trespolo di legno che tiene
assieme le sagome su cui piegare le tavole del fasciame e inchiodarle tra loro
mi sembra eccessivo; anche se i carpentieri chiamavano appunto scali tutte
quelle strutture fisse che servono a sostenere la costruzione degli scafi.
Lo scalo che mi torna alla mente è ben altra cosa: è quello
dove lavorava mio nonno palombaro.
Ci sono ricordidi
fatti e cose che galleggiano, si dissolvono e riappaiono dentro di noi come
bolle di sapone e non si riesce a dare loro un inizio o una conclusione, così
accade per il gozzo di mio nonno che sospinto a remi si muove lentamente nella
darsena vecchia e nella mente: rievocato dalla necessità di rendere partecipi
gli altri di una propria emozione.
E unimbarcazione modesta, priva di motoremanovrata dal compare fidato del nonno: una
vita passata assieme comunicandoattraverso una cordella che il nonno si porta appresso, fatta di piccoli
strappi e vibrazioni capaci di trasmettere ogni bisogno come un telegrafo
marino.
Al centro dello scafo, con il bottazzo pitturato del nero
dei rimorchiatori e di verde scuro sul fasciame, troneggia
la cassa di legno lucida: verniciata a coppale, dove è racchiusa la pompa
dellaria. Ai lati della cassa due grandi ruote di ottone, ormai scure per il
salino, con le impugnature rivestite di legno, servono ad imprimere il moto
alla pompa.
Seduto sullultima passerella per il carico e lo scarico che
dalla riva porta verso la parte più fonda della darsena, vicino al piano
inclinato dello scalo Picchiotti: dove due grandi travi di legno tenute
allineate da uninfinità di traversi si inabissano simili ad una ferrovia di
Verne, guardo lingombrante sagoma di gomma in cui è racchiuso il nonno e la
sfera di ottone con gli oblò collegata al tubo della pompa. Scende dalla
scaletta di ferro facendo inclinare tutta la barca, mentre laltro iniziata a
girare lentamente le ruote, resta a galleggiare vicino al gozzo; adesso si
passano gli attrezzi poi dalla tuta di gomma escono le bolle daria e il nonno
scende verso il fondo a preparare lo scalo per il varo: uno degli ultimi che
verranno fatti da questo cantiere.
Lacqua scura non permette di vedere il fondo e le bolle che
affiorano si uniscono a quelle della memoria svanendo.
Non potendo di certo piantare nel pavimento della casa i
sostegni per le sagome del dinghy, mi sono procurato dei legni al Bircocenter
in abete 100mmx100mm di sezione abbastanza lunghi per disporre i vari pezzi,
sostenuti da due grossi piedi che ho trovato più comodo comperare già fatti.
Tra le mezze sagome in scala 1:1 dei disegni ho ricavato: in
multistrato da 20mm, le sagome principali che una volta fissate con la parte
ricurva verso lalto hanno accolto la chiglia formando lidea completa dello
scafo. Prima di iniziare a realizzare il fasciame occorre smussare i bordi
delle sagome; servendomi di una assicella lunga quanto lo scafo traguardo gli
spigoli di ogni sagoma in modo da togliere tutti gli spazivuoti degli angoli retti ed realizzare i
piani su cui appoggiare le tavole.
Suddivisa ogni sagoma in 12 segmenti inizio a fissare
lassicella con dei chiodi e con raspa e pialletto asporto gli spigoli poi la
sposto cerco e spiano le gobbe e passo alla segmento successivo. Occorrono un
paio di sere per completare tutto lo scalo.
LE DODICI TAVOLE
Questo Natale è arrivato sotto forma di strenna un libro che
parla di regate: probabilmente scovato presso una bancarella nel mucchio dei
mai venduti. Racconta di mani doloranti per la fatica, di piedi sempre bagnati
gonfiati dal freddo, di fatiche che restano nella mente. Scafi sotto sforzo che
si rompono, delusioni abbandoni riprese e nuove fatiche, passaggi sullequatore
tra onde grigie senza fascino: un modo di amare il mare che biasimo, mè
difficile accettare tanta caparbietà sprecata per raggiungere una linea
darrivo al di là delloceano. Una cosa però ho condiviso:
mi trasferisco a La Rochelle e comincio gli allenamenti. Entrare in
sintonia con una nuova barca è come iniziare a conoscere una persona. Si deve
imparare a capirla, ad interpretare i suoi comportamenti, i suoi silenzi. Esco
ogni giorno con lei lascolto, le parlo, cerco la sua amicizia .
Quando guardavo linvaso e le sagome nella penombra della
stanza, socchiudendo gli occhi per aumentare la profondità dellimmagine,
riuscivo a seguire la forma dello scafo che sarebbe nato: vuoti e pieni , luci
ed ombre erano già la barca. Terminato il lavoro di rifilatura sono passato ad
irrigidire ulteriormente la struttura dellinvaso: fissando lo specchio di
poppa alla spagliera della scala e il dritto di prua ad una sorta di croce
avvitata sui gambi dellinvaso. Senza queste attenzioni le spinte prodotte dal
fasciame in costruzione, avrebbero disassato le appendici e storto la chiglia.
Per pensare il fasciame di una barca si deve immaginare
qualcosa che assomigli ad una scorza di arancio sbucciato longitudinalmente
oppure alla parte verde di una fetta di anguria: larghe al centro e
assottigliate nelle appendici; così per ricostruire la mia anguria prima ho
ritagliato i disegni eseguiti allinizio in scala naturale e poi li ho
applicatisulle sagome come indica il progetto:fasciame cucito di white-spruce (pino o
piella a seconda di come si vuol chiamare) omogeneo scelto di mm8 di spessore
finito, 12 corsi per parte mm16 di sovrapposizione. Tutto lo smusso sul corso
inferiore
Servendomi delle suddivisioni già fatte ho fermato con le
puntine il primo corso disegnato e mi sono accorgo che al centro deve essere un
poco più largo ed a poppa resta quasi della stessa larghezza, con il nastro
adesivo ed una striscia di carta ho compensato la differenza e ho tagliato verso
prua dove deve essere più sottile. Allo stesso modo ho proseguito con i
successivi disegni aggiungendo e togliendo e per riprodurre lincurvatura ho
usato assicelle che nel vuoto sorreggono la carta e ho rimandato a dopo le
risposte a tutte le domande sugli errori fatti. Alla fine risulta una serie di
disegni migliori e più convincenti dei precedenti ma non ho ancora la certezza
di avere la soluzione giusta tra le mani. Ad assestare il colpo di grazia alle
mie convinzioni di autodidatta è limpossibilità di trovare il pino senza nodi
o qualsiasi altro legno in vendita da cui ricavare semplicemente i 24 pezzi.
Raccolgo tutte le carte e risalgo il lago di Como verso la
soluzione. Cernobbio, Argegno, Ossuccio sfilano via con le case le piazzette e
loro campanili e i tetti: disegnati sopra lazzurro dellacqua più in basso.
Villa Carlotta, il promontorio di Bellagio e il vecchio battello di linea
diretto a Tremezzoche raschia lazzurro
con onde di metallo: quanto tempo che non tornavo quassù !
Sono un elettronico votato allelettrotecnica di cantiere e
come tale ho lavorato a costruire nuovi impianti in fabbriche e grandi
magazzini: Milano, Roma, La
Sardegna, Torino ed uninfinità di altri posti per poi
tornare al mare durante le ferie e nei fine settimana. Una volta però è
successo che: per far andare meglio un rapporto di lavoro mio e dalla ditta che
maveva sul libro paga, il nuovo cantiere si chiamasse RIVA ACQUARAMA si
proprio come quel motoscafo di B.B. e di R.Vadim dai cuscini turchese e dallo
scafo a vernice: icona di unepoca. Così ho conosciuto Giorgio ed i suoi
familiari, smontato ogni pezzo di metallo, salvate le viti, messo in scatoloni
il timone a forma di volante color avorio, liberato dallossido i
caratteristici comandi dellinvertitore e del gas: montati sotto al volante,
simili alle leve del cambio di una macchina americana. Poi motori, cruscotto,
tendalini, gomme, guide; tutti catalogati, fatti cromare, revisionare: per
tornare nuovi. Giorgio e gli altri nel frattempo, sostituivano il fondo dello
scafo con nuovi compensati, portavano a legno ogni pezzo e con cura da
filatelici salvavano i pezzi per poi rimontarli lasciando emergere dal lavoro
leleganza che il tempo lascia sulle belle cose.
Giorno dopo giorno sono diventato amico di questi Laghè
che costruiscono anche barche nuove dalle forme classiche e meravigliosi
dinghy.
Dalla via principale che sale tortuosa sotto il picco del
monte di Termezzo si accede al loro mondo passando per un acciottolato
seminascosto da contrafforti di pietra che sorreggono gli orti vicini e un
grosso cancello in ferro battuto. Uno slargo, tappezzato di ciuffi derba,
resti di carpenteria e scafi dal destino incerto separa il cancello da due
variopinte costruzioni fatte di assi, hanno dimensioni modeste, con grandi
porte in legno e costituiscono i capannoni della falegnameria ; dove il padre
di Giorgio ha lavorato da piccolo con suo padre e poi ha proseguito mantenedo
la famiglia, finchè i figli, diventati grandi e terminate le scuole, si sono
unitia lui nellattività.
Le voci e i rumori delle macchine provenienti dai capannoni
animano il piazzale deserto e manifestano la loro presenza, varcando il
portoncino appaiono le cose di sempre: capriate polverose invase da ferramenta
dalberi, boma, cavalletti. Appoggiate alle pareti: mezze sagome, in apparente
confusione, assieme a tavole di fasciame, scarti e listelli squadrati. Il fondo
in terra battuta bordeggia la base di cemento della pialla e termina contro lo
scalino della piccola porta a vetriaperta sullufficio magazzino dove cè il telefono che ha annunciato il
mio imminente arrivo.
Non ci siamo ancora visti: lo scafo di un catboat in
costruzione ci separa. Giorgio mette la tesa fuori dai bagli, oltre la carena
lucida di vernice e con voce forte, da montanaro, mi indica la scaletta per
salire a bordo. Lo scafo in mogano è costruito in modo classico con le ordinate
in lamellare di acacia, i correnti, le serrette,i madrieri e il paramezzale sovrastato dalla
poderosa cassa della deriva a mezzaluna in metallo; la coperta e la cabina sono
appena accennate nella forma dei bagli. Mi lascia ammirare compiaciuto: il
nostro rapporto, nato in quei tempi, non si è appannato con il passare delle
stagioni.
Ho cercato di anticipare cosa stavo facendo:
-Che fai mi voi fare concorrenza.. vieni su, vediamo, ciao
ho da fare a presto-. Così con il suo linguaggio scarno, tipico della gente di
quei posti, che riuscirei a ricordare a distanza di secoli acconsentiva di
mettersi a mia disposizione per una richiesta inusuale: quasi un fatto di
famiglia. Non so ancora quale disponibilità abbia in mente di offrirmi quando
repentinamente interrompe il lavoro e mi porta dietro i capannoni dove sotto
alcune lamiere riposano a stagionare grosse tavole di mogano spesse anche 5cm
con i resti della corteccia attaccati ai bordi.
Sono bastati pochi attimi per definire il da farsi, la spesa
e lidea di abbandonare il pino rivolgendomi al più nobile mogano: -prendi li
questa, si . alziamola e andiamo dentro-.
Per realizzare le tavole usiamo i modelli di compensato che
utilizzano nei loro dinghy e con un certo compiacimento ho modo di vedere la
forte somiglianza con i miei disegni ( in altra sede li ho poi sovrapposti e ho
visto quanto è stato buono il lavoro di taglia cuci ed incolla: ancora desso
conservo la bella copia di quei disegni).
Dopo aver reso piano un lato, si suddivide la grossa tavola
in parti sufficientemente larghe da contente il disegno ricurvo (in realtà
occorrono tre grosse tavole) segati con la circolare, i 12 pezzi passano nella
pialla a spessore 25mm di finito. A questo punto trasportiamo il disegno dei
modelli di compensato e con una sega a nastro pronipote della bindella di
Gianni tagliamo i corsi del fasciame. Alla fine, ancora con la grossa lama
della circolare dividiamo a metà i 12 pezzi ricurvi ottenendo due coppie
simmetriche dello stesso corso di fasciame: uno per bordo. Portati a spessore
giusto di 8mm si legano con quella pellicola simile alla plastica per alimenti
assieme alle traverse del portapacchi.
E quasi notte quando lascio il lago e mentre viaggio
ricostruisco gli attimi della giornata, traendo la più ovvia delle
considerazioni: senza laiuto di Giorgio la costruzione sarebbe rimasta
impantanata a lungo.
ACQUA E LEGNO
Adesso che le tavole sono state tagliate e sagomate vanno
piegate sulle forme dellinvaso. La cascina di Gianni , oltre al corpo centrale
con le case ed il portico comprende anche una stalla grande ed una piccola,
vecchia come le case. Queste due stalle sono messe ortogonalmente alla parte centrale,
una sulla destra e laltra sulla sinistra e costeggiano un piccolo corso
dacqua sorgiva che quà nel Cremasco chiamano Roggia. Lacqua è limpida e
bassa, il fondo ghiaioso ed è contornata da sponde erbose ombreggiate da grosse
piantedi rubinia. Si accede al livello
dellacqua grazie a scalini ricavati con la vanga sulla
sponda, a ridosso di un piccolo ponte. In questacqua ho
immerso a più riprese le tavole di mogano per renderle duttili alla piega.
Loperazione di inumidire il legno favorendone la piegatura è una cosa che
tutti conoscono ma soltanto pochi hanno visto eseguire, così tra scetticismo e
curiosità Gianni e Giulio hanno atteso i primi risultati.
Ormai le giornate sono corte davvero, il buio arriva con
grande anticipo su le ore destinate al procedere dei lavori in cascina;
lanticipazione della cena si tramuta, alla fine di ogni attività, in connubio
di incontri conviviali e lente prosecuzioni nella costruzione della barca. In
cucina di Gianni si rovescia la polenta che Giuliano, altro abituè di queste
parti, ha governato nel paiolo di rame, con un
piccolo remo di bratto. Il vapore e lodore dei tordi a
cuocere sulla stufa a legna dal piano di ghisa dove era conficcato il paiolo
della polenta, riempiono la stanza in penombra. Alla tavola: viva per i nostri
maneggi e per la luce che la sovrasta, riprendonoi racconti ed i commenti sui fatti della
giornata:
--e lalbero dovè... al centro della barca?un particolare
che non avevo ancora definito con Gianni. E per colpa dei primi disegni fatti
alle scuole elementari che nasce lidea comune di sistemare gli alberi delle
vele al centro delle barche.
--no! È ritto sulla prua, a circa 30cm dopo linizio
--E figlio!! (tipica esclamazione di Gianni) come fa ad
andare, mettilo più al centro
--Potrei ma occorre cambiare la forma della vela e poi mi
piace così, come ha pensato quello che lha disegnata
--ma laria che spinge......
--Laria non spinge soltanto, a volte tira.......Ho il pallino della storia in mano e non lo
lascio scappare: altrimenti ci si perde in chissà quali varianti sulle spinte
del vento.
E loccasione giusta per finire lannoso discorso su come
fanno a muoversi le barche a vela:
--senz'altro vi sara capitato di stendere il braccio fuori
dal finestrino dellautomobile mentre va...-- Magari non di recente, ma
sicuramente qualche volta.......aggiungo vista lespressione di disagio per
ricordare e le fronti aggrottate.
....e quando è disteso, con il palmo della mano rivolto
verso il basso, ruotare la mano ed avvertire una spinta che vuole
sollevarla... accompagno le parole distendendo il braccio e ruotando
lentamente la mano, fremandomi ad un angolo della rotazione dove in genere si
percepisce la spinta, prima che tutto si trasformi in resistenza
allavanzamento.
La spinta è data dalla diversa densità dellaria che scorre
sul dorso e sul palmo della mano. Sul dorso le particelle daria si addensano
formando un percorso curvilineo; allinterno di questo percorso: le particelle
più vicine alla mano si trovano costrette a rarefarsi per passare, mentre sul
palmo laria scorre senza intoppi....-- Così dicendo disegno la sagoma della
mano a prua di una piccola barca.-
La rarefazione delle particelle ha prodotto una riduzione di
pressione sulla parte superiore della mano che viene sospinta dallaria che
passa sul palmo. Giuliano, come al solito preferisce ascoltare che perdersi i
lunghi commenti e precisa:
si sposta ma non va avanti ! ---
--E qui che entra in gioco la forma dello scafo,la deriva ,
il timone...ed aggiungo i particolari al disegno--...lacqua scorrendo attorno
alla deriva della barca spostata dalla spinta sulla vela...---
---Figlio ma la deriva non serve per contrappeso tra
quello che è fuori dallacqua e quello che è dentro?
E Gianni che riemerge dalle varianti sulla forma della
mano, le ali i profili e dal fatto che a far andare laereo è lelica che tira
--...si anche.... però manovrando il timone la deriva viene a trovarsi nella
stessa condizione che abbiamo detto per la mano ed inizia a esercitare una
spinta che è più corretto chiamare portanza...--- ultimo pezzo aggiunto ,il
timone ---.... larte del navigare stà nel manovrare la barca, spostando la
vela con le scotte e indirizzando lo
scafo-deriva con il timone, finche le due spinte agiscano di
comune accordo
Si torna a tordi , al vino buono, al caffè, alla grappa; mi
viene da pensare che esistono anche, il baricentro, il parallelogramma delle
forze, il fatto che la bisettrice della barca taglia la retta della direzione
di navigazione per un angolo pari allangolo di portanza della deriva; ma
queste sono cose che stanno scritte sui libri, per la nostra serata è
sufficiente quello che abbiamo detto.
Altre volte in modo più repentino e discreto passo dalla
Roggia e senza fermarmi vado nella casa dovè la barca; ed è come entrare in un
calendoscopio di fatti già vissuti: di esperienze trasmesse da uomini antichi
rinate nei legni che lentamente e con cautela piego sulle sagome dello scafo.
Cosha di diverso il mio procedere dal lavoro dei calafati della nave di Cheope
o dai greci nelle navi raccontate da
Omero? Non sarà certo luso del potente fon elettrico in
vece delle torce o delle lanterne ad olio a rendere queste pieghe diverse. Vivo
una trasfigurazione senza tempo, la manualità si riempie di gesti arcaici,
rituali propiziatori di cui è piena la storia del mondo. I legni sono ancora
gli stessi :Lolmo e la quercia. fasciame cucito.....I greci e i romani costruivano i gli scafi
assiemando le tavole del fasciame in modo da forarle entrambi e successivamente
le cucivano con corde composte da trefoli che successivamente bloccavano
piantando cavicchi di tiglio nei fori. Probabilmente anche loro iniziavano la
costruzione con lo scafo rovesciato ed una volta terminata questa fase lo
voltavano e legavano i madrierei alle tavole ed alla chiglia. Sorprendenti
anche i numeri: nella stragrande
maggioranza dei casi le tavole erano 12 per parte, la distanza
dei centri di ogni foro era di 9cm (10cm sul dinghy).
12 erano anche le tavole delle navi Vichinghe il fasciame
decisamente sovrapposto come quello del dighy, la parte immersa era legata e
stagnata con i cavicchi, rendendo più elastico lo scafo sotto gli sforzi dun
mare inclemente come quello nordico (onde anche di 15 metri , correnti
contrarie superiori ad 8 nodi, raffiche di vento di oltre 100km/h per scafi
lunghi più di 15mt larghi 5 6mt dai corsi di fasciame interi che salivano al
cielo nella caratteristica prua sovrastata dalla testa di drago).
La chiodatura in rame del dinghy prende uso attorno al XVIII
secolo ed è costituita da chiodi di sezione generalmente quadra che vengono
infissi tra le due tavole sovrapposte dopo aver praticato un foro di misura.
Successivamente, servendosi di un bulino forato al centro (capace di far
passare il chiodo sporgente) con impronta conica, si spingeva una rondella di
rame sul chiodo tenuto fermo da una
massa capace di assorbire il contraccolpo del martello; la
parte del chiodo sporgente veniva tagliata e ribattuta sopra la rondella sino a
formare una sorta di rivetto.
Giorgio mha fornito di uno strano attrezzo che ho duplicato
più volte: è formato da due assicelle di legno elastico più lunghe della
larghezza di una tavola, separate da un doppio spessore di legno ricavato dagli
scarti della stessa ed avvitati tutti assieme. Con questi attrezzi è possibile
tenere unite le tavole del fasciame semplicemente infilandole tra di esse; a
prua ed a poppa le tavole vengono avvitate con viti di ottone sul dritto e
sullo specchio dopo essere state piallate e avviate con un piccolo gradino.
Così prese queste
tavole ricurve iniziavo ad appoggiarle al centro, le fermavo
con le mollette di Giorgio e proseguivopiegandole e assestandole poco alla volta; fino a che le estremità
ricurve, come una mezzaluna, sormontavano la tavola precedente. Occorrevano
anche parecchi morsetti per essere sicuri che non si muovessero quando
praticavo i fori con il trapano e passavo al fissaggio con i chiodi di rame:
due fori vicini
ed uno saltato per fissare in seguito lordinata. Per tutto
linverno, a periodi alterni, non sempre produttivi: ho bagnato, scaldato,
piegato ed inchiodato le tavole e allarrivo della
primavera il guscio era pronto per essere voltato.
ODORI E RICORDI
A volte, nei i sentieri sterrati attraverso i campi, si
sente lodore del mare: così imprevisto e forte da supporre che dietro lultima
fila di alberi, oltre il terrapieno, debba apparire la distesa azzurra senza
fine.
Completando il guscio: termina anche la permanenza alla
cascina, così una mattina d Aprile poco dopo lalba sono tornato da Gianni per
trasportare il Dinghy nel garage vicino alla casa dove abito, ormai provvisto
di porte.
Laria è pulita ed i contorni delle cose tagliano il cielo
come cocci di vetro. Il sole sopra la bruma riflette di sbieco sullerba e
sulla terra umida; un trattore già al lavoro rivolta la terra, sopra a lui un
nugolo di uccelli lo segue.
Lodore dei fossi raschiati, il trattore sperduto nei campi
ed il confine azzurro dei monti si tramutano nella mente in immagini di mare.
Il guscio privo di ossatura interna, si contrae e si
distende ad ogni scossone dellauto. I chiodi di rame infissi nei fori sulle
tavole del fasciame non sono ancora ribattuti ed io guido tra le impervità
della strada con lorecchio e lanimo tesi in ascolto: temendo che per quei
sussulti una tavola possa allentarsi e spostarsi. Il viaggio si conclude senza
disastri e con laiuto di Eugenio deposito il dinghy sul
pavimento del garage.
Della manciata di chiodi avuti in regalo da Giorgio restano
alcuni esemplari solitari sigillati nel barattolo di confetture:
è merce questa che non si trova nei negozi qua attorno,
occorre passare lappennino, scendere fino al mare.
Così in quell Aprile sono partito , ho scavallato i monti e
dopo boschi di castagni e declivi erbosi sono arrivato a Lavagna per
ricongiungere i luoghi ai ricordi di unaltro cantiere.
Cymba : un motosailer dallalberatura generosa nato aVarazze nella falegnameria degli
Ottonelloparecchi anni prima. Adatto
alla pesca atraino con la canna, uno scafo
blu avvitato su grosse costole di rovere e mogano che segna sempre, anche dopo
infinite mani di stucco. Rimessato in un capannone allArgentario, dopo aver
scorrazzato in tutto il mediterraneo, per limiti di età dellarmatore che a
ottant anni si era ritirato vicino alla figlia nei dintorni di San Remo.
Gagliardamente ci ha raggiunti dopo un viaggio in auto e consegnata la barca,
le attrezzature, le canne ed i mulinelli (che ancora conservo assieme ad una
collezione di carte del mediterraneo, incollate su pergamena, su cui sono
riportati a matita gli appunti delle navigazioni)si è ritirato in una casetta a perpendicolo
sulla costa, di fronte allo scoglio dellArgentarola: sarebbe ripartito, in
auto, per San Remo la mattina dopo.
Noi a bordo del Cymba, nei giorni successivi, facevamo rotta
su Viareggio. Si terminava il trasferimento per Santo Stefano ormeggiati nel
porto di Lavagna.
20/03/2009 Franco Favilla francofavilla@libero.it
Questa pagina è stata visualizzata n. 4482 volte