BAMBINI IN BARCA

Ovvero come avvicinare i vostri figli alla vostra passione

di Fabio Fazzo

Il tema di queste note non è, ovviamente, tra quelli da cui dipende il futuro dell'umanità, né credo che d'ora innanzi sarà impossibile anche solo pensare di portare un bambino in barca senza averle lette. Ma poiché tutti i velisti con prole hanno prima o poi il problema di trovare il modo migliore per iniziare i pargoli al divertimento di andare a zonzo per il mare, penso sia utile provare a metter giù qualche considerazione dettata dall'esperienza, magari per aprire uno scambio di opinioni.

1. Cosa non fare.

a) Ogni tanto sulle riviste specializzate si vede la foto di qualche innocente bebè piazzato nel pozzetto di una barca con didascalie del tipo: "il piccolo Roberto (o Luca, o Francesco), un anno appena compiuto e già in crociera con mamma e papà tra le isole greche (o dalmate o di qualche altro vattelapesca di posto a la page per velisti).

Quando vedo quelle foto mi vien voglia di chiamare telefono azzurro perché mi pare assurdo infliggere a un bambino così piccolo le scomodità della vita in barca senza che sia in grado di apprezzarne nessuna delle bellezze.

Diciamoci la verità: quei genitori non sono lupi di mare che iniziano precocemente i figli, sono solo due tizi che non hanno voglia di farsi rovinare più di tanto la solita vacanza.

I bambini molto piccoli devono stare a terra, passare qualche ora in spiaggia nelle ore più fresche della giornata e basta. Il resto è fissazione o egoismo.

La verità è che almeno fino al terzo anno di età (e non credo di avere figli particolarmente scemi) i bambini sono completamente disinteressati all'idea stessa della navigazione e non comprendono neppure bene cosa sia e a cosa serva una barca.

Questo ci condannerà per qualche anno a fare anche noi vita da spiaggia (magari con qualche evasione): mettiamoci il cuore in pace, c'è di peggio nella vita.

b) Non cercare di imporre nulla. Non sta scritto da nessuna parte che ai vostri figli dovranno piacere per forza le stesse cose che piacciono a Voi.

c) I bambini preferiscono naturalmente stare a riva piuttosto che andare in barca: sulla spiaggia si gioca, ci sono gli amici ci si sente sicuri. Evitare di far sentire ai piccoli la barca come qualche cosa che li priva del loro divertimento preferito o, peggio, li priva del papà che li trascura per andarsene in giro per il mare. L'andare in barca dovrà essere un di più nella normale giornata di vacanza, che non toglie, ma aggiunge qualche cosa (come il giro in giostra o sul cavallino).

2. Cosa fare.

A partire dai tre anni il bambino è più sicuro di sé e comincia a guardare con occhio diverso il mondo: automobili, aerei e barche suscitano il suo naturale interesse. E' il momento di iniziare a fargli capire che di quelle tre cose le ultime, cioè le barche, piacciono tanto a papà.

a) Il primo passo da fare sembra non centrare per nulla con il nostro tema. Ma val la pena di farlo anche perché di solito lo si fa comunque: regalare al bambino una bicicletta e insegnarli ad usarla. Il bambino capirà che i mezzi possono essere usati e guidati e che può essere lui a farlo.

b) Il secondo passo lo chiamerei primo approccio alla navigazione. Ritengo che sia controproducente portare subito un bambino piccolo su un'instabile barchetta. Ai primi rolli, ai primi beccheggi si spaventerà a morte, magari starà male. Portate invece il piccolo a fare qualche breve gita su quegli odiosi barconi turistici che infestano le nostre coste. Si sentirà sicuro e sarà affascinato all'idea di allontanarsi da terra in mezzo a quell'elemento per lui ancora misterioso che è (il vasto, per lui vastissimo) mare. Dopo qualche volta (a mia figlia è successo così) cominceranno a piacergli quelle stesse cose che tanto ci fanno amare le barche: la prua che fende sicura l'acqua, l'odore del mare lontano da terra, il navigare in sé.

c) Solo dopo questa iniziazione, vale la pena, secondo me, di fare il terzo passo e portarsi il bambino in barca. Ma anche qui ci vuole gradualità: le prime volte conviene andare a motore, fare brevi gite e evitare le navigazioni oziose. Pertanto datevi una meta (possibilmente una spiaggia), fate capire al bambino dove si va, all'arrivo fatelo sbarcare a terra a giocare o ad esplorare il luogo raggiunto via mare.

d) Se il bambino non sa nuotare, fategli mettere i braccioli prima di salire a bordo. Si tratta, oltre che di un'elementare misura di sicurezza, di un aiuto psicologico che fa sentire il piccolo sicuro.

e) Per le prime uscite conviene che a bordo ci sia anche la mamma del piccolo marinaio. Ma poi conviene lasciare qualche volta a terra mammà, perché tende a trasmettere al bambino l'apprensione che prova per le sorti del suo piccino e la sua nè assoluta nè incrollabile fiducia nella prudenza marinara del suo compagno (mia moglie non ha mai dimenticato una certa traversatina tra la Maddalena e Palau che le ho fatto fare dieci anni fa su un guscio di noce con mare formato e un bel "venticello": c'è quasi sempre un episodio del genere nella storia tra un marinaio della domenica e una terragnola … e le femmine hanno una memoria di ferro). Bastano una o due brevi uscite a tu per tu con il piccolo (senza strafare e senza approfittare dell'assenza dell'occhio vigile della "leonessa" a difesa dell'incolumità della prole) per far trovare alla madre nella gita successiva un bambino molto più sicuro di sé, che così tranquilizza a sua volta la signora.

3. Conclusioni.

Applicando queste regole mi sono ritrovato quest'estate (nelle pochissime occasioni avute per prendere in mano un timone) una perfetta marinaretta che sale e scende tranquillamente dalla barca in banchina, si butta a mare e risale, non soffre il mare, non si spaventa per qualche onda e comincia a capire che se mette la barra da una parte la barca va dall'altra e viceversa. Insomma: una cosa che non frega niente al 99% dell'umanità ma che io annovero tra le gioe della vita.

Fabio Agosto 2000